Viva l’astensione per la rivoluzione!

Le ultime elezioni nel nostro paese hanno visto un altissimo tasso di astensione. A Genova, un sindaco eletto da poco più di centomila persone ne governerà quasi ottocentomila: culmine della farsa, o culmine della democrazia? In ogni caso nessun analista, nessun politico, nessun organo di stampa ha potuto eludere il dato ne trovare fantasiose spiegazioni.

Le interpretazioni sociologiche si sprecano. La chiamano, con preoccupazione, antipolitica. E allo stesso tempo la Politica per arginare questo fenomeno prevedibile é corsa ai ripari laddove poteva (quindi, fondamentalmente, a sinistra) lanciando volti nuovi ed enfatizzando l’illusione dell’amministrazione più attenta e vicina ai cittadini, puntando sulla democrazia partecipativa per rispondere al desiderio di rinnovamento.

Effettivamente, se liste civiche e “grillini” hanno eroso i voti dei partiti storici è perché le basi degli stessi sono stanche delle vecchie classi dirigenti. E questo è un dato. Un altro dato, ineludibile, è che in tutta Italia, milioni di persone, semplicemente, non hanno sprecato neanche quei 20 minuti per scegliere chi dovrebbe governarli nei prossimi anni. Rifiuto? Disinteresse? Opposizione? Senso d’impotenza? Non lo sappiamo. Probabilmente tutti i fattori insieme.

Quel che è certo è che il fenomeno non è italiano. In Grecia, in Portogallo, come precedentemente in Spagna, gli “aventi diritto” hanno mostrato un grande dito medio alle seduzioni della Politica. I governi della “crisi”, e i governi dell’austerità ancora più di altri, perdono terreno, appoggio e consenso.

Il voto però è solo un piccolo mattoncino del consenso. Se le illusioni e la fiducia nella Politica vengono meno, questo non significa ancora che essa venga rifiutata. I potenti hanno bisogno di noi, del mantenimento dei nostri ruoli sociali, hanno bisogno che rimaniamo al nostro posto. Ma noi non abbiamo bisogno di loro. Se vogliamo reagire alla miseria che ci circonda dobbiamo precisamente uscire dai nostri ruoli, liberare il nostro tempo, attivarci laddove possiamo e non per partecipare ad un banchetto da principio concepito per pochi, ma per ribaltare quella tavola insieme a tutti coloro che ne restano esclusi.

Il rifiuto della delega (al Comune, al Parlamento, al poliziotto), se consapevole, è il primo passo verso l’azione diretta nella risoluzione dei problemi, cominciando dal quartiere in cui viviamo. Un cancello aperto, una casa occupata, un giardino liberato, un orto in mezzo ai vicoli, sono anche questo.

Il mondo appartiene a chi lo abita, le risorse a chi ne ha bisogno, la ricchezza sociale a chi la produce e non ai suoi proprietari.

Riprendiamoci tutto.

Un augurio a chi ha cominciato.

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