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MAR 10 GEN
L’ALBERO DI ANTONIA
di Marleen Gorris. Paesi Bassi, 1995. (Durata 93 minuti circa)
Affresco di una piccola comunità rurale sull’arco di quattro generazioni, dal 1945 alla fine del secolo. Protagonista invisibile: il tempo che passa. Linea narrativa: matriarcale. Antonia che generò Danielle che generò Thérèse da cui nacque Sarah, voce narrante. In questo Heimat fiammingo gli uomini sono in seconda fila: abietti o fragili o coglioni, talora gentili. Sagace, e qua e là furbesca, mistura di patetico e grottesco, pubblico e privato, violenza e tenerezza con una marcata componente anticlericale e un pragmatico amore per la vita, contrapposto al cupo pessimismo di un vecchio che cita Nietzsche e Schopenhauer.
MAR 17 GEN
TRANSAMERICA
di Duncan Tucker. USA, 2005. (Durata 103 minuti circa)
Transessuale che vive in un quartiere povero di Los Angeles, Bree (Huffman) è costretta – per ottenere l’autorizzazione all’intervento chirurgico che la renderà femmina a tutti gli effetti – a incontrare il figlio adolescente Toby, concepito ai tempi del college quando ancora si chiamava Stanley. A malincuore, va in aereo a prelevarlo in un carcere di New York. Toby la scambia per una dama di carità e Bree, ansiosa di sbarazzarsene al più presto, gli cela la sua vera identità. Faranno il viaggio di ritorno a L.A. in auto. “Non è un film su quello che hai sotto la gonna.” (D. Tucker). Sono i modi con cui è raccontata che ne fanno una commedia notevole: ritmo, sensibilità, attenzione ai particolari, fotografia funzionale (Stephen Kazmierski, polacco), dialoghi pimpanti in un saporito cocktail di dolore e ironia, amarezza e capacità di adeguamento.
MAR 24 GEN
FIRE
di Deepa Mehta. India, Canada, 1997. (Durata 104 minuti circa)
Nella Nuova Dehli di oggi due cognate – la giovane Sita (Das) e la più matura Rahda (Azmi) – sono mogli infelici: il marito della prima, commerciante in pornovideo, ha una cinesina come amante fissa; quello della seconda si è votato alla castità. Le due donne diventano prima amiche, poi amanti. Scoppia uno scandalo. L’omosessualità femminile è ancora un tabù in India. Alla sua 3ª regia, D. Mehta, da anni emigrata in Canada, l’affronta con un film sociologicamente attendibile, di sottile finezza psicologica e di un erotismo che è, insieme, casto, coinvolgente, audace. Un filo di ironia fa da filtro al programma ideologico femminista.
MAR 31 GEN
GO FISH
di Rose Troche. USA, 1994. (Durata 85 minuti circa)
Storie, amori, amicizie, scontri, pettegolezzi in un giro di lesbiche a Chicago. Le cinque donne principali – tre bianche, una nera, una latinoamericana – sono descritte con affetto, rispetto, ironia. Dialoghi spiritosi. Scritto dalla regista esordiente con G. Turner, è un film indipendente a basso costo. Le autrici non vogliono dimostrare, ma mostrare, raccontare, raccontarsi con un fondo di irriverenza che è la loro cifra segreta, non ostentata. È diventato negli anni ’90 un manifesto del cinema lesbico. Il titolo significa “andare a donne”, ma anche “pesca la tua carta”.
“OLTRE IL CONSUETO, OLTRE IL CONFORME, PER…”
Ci vorrebbero isolate molecole che si passano accanto senza mai sfiorarsi, avvinti nei mille obblighi della vita quotidiana; o, forse ancor meglio, grumi di rabbia compressa pronta a sfogarsi l’una contro l’altro, in quella lotta per la sopravvivenza che sembrerebbe l’unico modo di esistere nelle nostre stranianti città. Eppure esistono altri modi di stare insieme, di intessere relazioni basate non più sulla sopraffazione e l’indifferenza: oltre l’isolamento del singolo, le modalità rabbiose di aggressività alienate, l’irrisione e l’incomprensione nei confronti di chi propone un essere o un amare non convenzionali; oltre le regole di questo non-vivere sociale, che, per difendere i soprusi in cui è radicato, vorrebbe che li facessimo nostri, o che, infine, noi ci facessimo suoi.