Genova è finita? Niente è finito…

Testo distribuito a Genova il 20 luglio 2012, in piazza Alimonda, nell’undicesimo anniversario della sommossa di Genova, dell’omicidio di Carlo e della repressione statale; e ad una settimana dalla sentenza della Cassazione romana che ha confermato le condanne per 5 imputati.

 

GENOVA E’ FINITA? NIENTE E’ FINITO…

Venerdì scorso la Cassazione romana si è espressa definitivamente sul processo per i fatti di Genova, confermando le condanne per 5 imputati su 10, con pene altissime.

Cosa rimane 11 anni dopo? Carlo non c’è più, decine d’anni di carcere e una rimozione storica collettiva.

Ma benché ci sia ormai ben poco da fare, forse qualcosa si può ancora dire, foss’anche solo perché i compagni non entrino in prigione con la stessa indifferenza che negli ultimi anni hanno avuto attorno.

Genova appare finita, o quasi. La nostra storia è stata riscritta e noi abbiamo lasciato che così fosse.

E’ finita con una manciata di capri espiatori seppeliti da più di 50 anni di galera, quegli stessi che fin da principio vennero indicati come i “più cattivi” tra i “cattivi” oggi pagano il conto per tutti.

Forse è giunto il momento, per quanto tardivo, di chiedersi cosa e quanto abbiamo fatto per evitare che questo accadesse.

Quanto è stato grave parlare di infiltrati, di regie occulte, dividere o comunque accettare le divisioni tra buoni e cattivi, pacifici e violenti? Quanto è stato vincente a livello processuale non affiancare una difesa politica a quella tecnica e a livello di movimento continuare per anni a sostenere i 25 imputati sulla base della resistenza in via Tolemaide, quando era evidente che buona metà di essi erano accusati invece di avere attaccato deliberatamente (perchè questo fecero in migliaia a Genova, attaccarono). Porre insistentemente la priorità sulle nefandezze delle forze dell’ordine, sull’interruzione del Diritto, non ha contribuito forse a creare il clima per cui infine pagassero (chi formalmente, chi realmente) quelli che hanno “esagerato”, da entrambi le parti? E non ha ancora una volta creato l’illusione che lo Stato possa essere qualcosa di diverso da quella banda di ladri e assassini che è sempre stato nella storia?

In tanti negli anni abbiamo provato a fare qualcosa. Sicuramente non abbastanza. Ma la storia l’abbiamo riscritta anche noi, e a nostro discapito.

Non è più il momento per riaccendere le polemiche sulle responsabilità soggettive. Non oggi, non in questa piazza.

Ogni compagno, a prescindere dalle aree d’appartenenza, può onestamente affrontare le proprie, di responsabilità.

A noi oggi interessano le nostre. Perché nessuno, noi compresi, in questi anni è stato in grado di costruire un appoggio reale, pubblico, e di lunga durata di fronte agli attacchi della Magistratura. E se la solidarietà, per avere un senso, dev’essere concreta e deve riaffermare il contenuto della lotta, allora quello che abbiamo fatto ha avuto ben poco significato.

Certo, tenere i compagni fuori dalle galere non è affare semplice, ma un movimento che non sa difendere se stesso e non prova nemmeno a difendere la dignità del proprio percorso e la dignità dei suoi prigionieri vale davvero poco.

Infatti di Genova è rimasto poco o nulla: rimane la frustrazione attuale, le spaccature infinite, qualche culo seduto su comode poltrone e qualche pensione da parlamentare. Eppure le banche incendiate all’epoca sono bruciate ancora, e sono le stesse che oggi governano l’Europa e ci impongono esistenze sempre più misere, eppure la rabbia esplosa allora verso le istituzioni finanziarie e i suoi guardiani cova nuovamente oggi in milioni di persone nel mondo. La devastazione e il saccheggio continuano ad essere la realtà quotidiana che subiamo. Forse allora le fiamme di Genova non avevano tutti i torti. Eppure non abbiamo saputo difenderle.

Questa è la nostra prima responsabilità ed è ciò che ci riempie di frustrazione.

E rabbia, tanta rabbia. Rabbia che non trova come esprimersi, rabbia frustrata. Rabbia che desidera giustizia.

Canepa, Canciani, inquisitori vari e inquirenti tutti, forse vi sentite sereni, al sicuro, senza vergogna, ma sappiate che per noi non è finita. Genova per noi non finirà mai.

A volte, ai nemici della libertà, quali voi siete, torna indietro qualcosa della guerra che hanno condotta ad essa. Non siamo noi a dirlo, è la Storia che, di tanto in tanto, lo dimostra.

Se, presto o tardi, un nuovo movimento reale rimetterà in discussione le basi intere di questa società infernale, allora questo movimento dovrà farsi carico anche di questa giustizia che è l’unica che oggi siamo in grado di concepire. Se così non sarà, queste parole, così come il desiderio di molti, saranno l’ennesima espressione della nostra impotenza.

Marina, Alberto, Ines prendete la nostra solidarietà e il nostro affetto per quello che valgono, per voi si aprono le porte delle galere, e forse questa complicità potrà suonarvi vuota retorica. Sappiate che portiamo con noi tutto il peso di questa consapevolezza.

Jimmy, Vincenzo, non sappiamo dove siete e non ci interessa. Quel che sappiamo è che lo Stato vi dichiara ricercati, irreperibili, presto latitanti. Ebbene, si fotta. Si fottano tutti.

Correte, compagni, correte.

E buona fortuna.

 

compagne e compagni che non dimenticano

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SENTENZA PER UNA RIVOLTA. In ogni caso non finisce qui…

DAL 6 AL 12 LUGLIO 2012
MOBILITAZIONE INTERNAZIONALE A SOSTEGNO DEGLI IMPUTATI DEL G8
mostra permanente @ Giustiniani19
volantinaggi e presidi a Genova

sabato 7 luglio 2012
genova, ore 18
IL SIGNIFICATO DELLE GIORNATE DEL LUGLIO 2001
discussione pubblica @ Giustiniani19
e proiezione del video
DETOUR, LA CANAGLIA A GENOVA
ovvero come accadde che a Genova, venerdì 20 luglio 2001,
un’imprevedibile deriva abbia trasformato una farsa annunciata
in sommossa reale

martedi’ 10 luglio 2012
genova, ore 18
IL PROCESSO DEL G8 PER SACCHEGGIO E DEVASTAZIONE
con un esponente del Supporto Legale @ Giustiniani 19

venerdi’ 13 luglio 2012
roma
PRESIDIO SOTTO LA CORTE DELLA CASSAZIONE DI ROMA
Appello

 

20 luglio 2001, genova – 13 luglio 2012, roma

Il 13 luglio, a undici anni esatti di distanza, lo Stato, tramite la Corte di Cassazione, darà il verdetto finale sugli scontri che scossero le strade di Genova nel luglio 2001. Per dieci persone viene chiesta la conferma di pene dai dieci ai quindici anni di carcere. Dieci persone chiamate a pagare il prezzo di una rivolta che fu di migliaia di persone, militanti e no, vestiti di nero e colorati, stranieri e genovesi. Dieci capri espiatori, accusati di saccheggio e devastazione.

Cosa accadde quel luglio così lontano nel tempo, ma così vicino nel suo significato?  Gli otto capi di Stato del G8 commisero l’errore di scegliere Genova, città da sempre ostile al sopruso, come sede di uno dei loro arroganti incontri. Il centro storico della città venne svuotato degli abitanti e recintato con grate di ferro invalicabili, tutti furono invitati a lasciare la città. Ma chi non cedette al ricatto, non accettò quella provocazione. La coscienza e la determinazione di alcuni incontrarono e incendiarono l’insofferenza e il disagio di tanti altri, stanchi di subire una vita ritenuta giustamente non degna. Tra di loro molti genovesi; Carlo uno di loro.

Quel giorno in molti disertarono l’appuntamento fissato dal potere e dai suoi interlocutori ufficiali nell’attacco alla zona rossa e nello scontro impari con la polizia. Si andò alla deriva, occupando il resto della città. Fu così svelata una verità semplice e profonda: il potere non è, e non si sconfigge, nel palazzo d’inverno, nelle zone rosse degli appuntamenti farsa dei fantocci messi a capo degli Stati, ma è, e si può rovesciare, ovunque, nello spazio e nel tempo delle nostre vite organizzate e controllate in ogni dettaglio. Attaccando l’alienazione e la miseria cristallizzate nelle sedi di banche e multinazionali, nelle auto di lusso, nelle merci affastellate sugli scaffali dei supermercati, nelle mura di carceri affollate di miserabili, i rivoltosi di Genova urlarono che il dominio non ha un cuore, ma che è freddo, inanimato e diffuso come un cancro. Quando la storia dei cinquecento black bloc calati da Marte non convinceva più nessuno, hanno dovuto chiamarli teppisti e provocatori, questi “barbari” responsabili di atti così inconsulti per i benpensanti ma rivelatori per molti altri. “Teppa”, termine che significativamente rievoca i banditen della Resistenza e i teddy boys del giugno ‘60, ovvero criminali per chi deteneva il potere in quel momento, persone di cuore per tutti gli altri. Sicuramente eravamo e siamo disagiati; perché, si può essere umani e contemporaneamente a proprio agio in questo mondo?

Perché pene così dure? Perché allora, in tempi di relativa “pace sociale”, non si poteva tollerare una città dell’Occidente liberata dal cancro capitalista neanche per poche ore. Sarebbe stato un esempio minaccioso per il futuro, e tale si è rivelato, nonostante la paura instillata a partire da quel giorno con i manganelli in strada e negli anni successivi con la propaganda e la mistificazione. Che le banche siano organizzazioni criminali, che il lusso sia un affronto insopportabile, che il “progresso” per il quale viene richiesto il sacrificio costante della nostra vita è una truffa, che il saccheggio e la devastazione sono quelli che vengono perpetrati ai danni dei territori ovunque, oggi cominciano a pensarlo in tanti, e in tanti hanno cominciato ad agire ed autorganizzarsi, dalla Grecia alla Valsusa. Se quella rivolta allora incompresa e calunniata acquisisce un senso alla luce di quanto accade ora, e se i giudici dimostrano di averlo ben presente con le loro pene esemplari, appare evidente la necessità di non lasciare soli quei dieci di noi che oggi sono chiamati a pagare per tutti. Non è un caso che negli stessi giorni, con una fretta sorprendente, cominci il processo al movimento NOTAV. Un filo rosso unisce coloro che sono chiamati nei tribunali di Stato per fatti apparentemente così lontani, nelle pene che ricadranno a cascata su tutti ma anche nel senso e nella forza delle lotte che continueranno e che mai nessun tribunale potrà sconfiggere.

Carlo quel giorno ha lasciato sul selciato la sua giovane vita e la sua voglia di libertà, ma molti altri come lui sono nati a sé stessi in quelle ore, perché è solo nell’ora della rivolta che non ci si sente più soli nella città, e mai Genova è stata così bella per noi. L’unica giustizia per quella vita spezzata, e l’unica possibilità di riscatto per le nostre umiliate, è che quel fuoco bruci e dilaghi sempre più per le strade del mondo.

CASA OCCUPATA GIUSTINIANI 19

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Cena in piazza

autofinanziamento per la
cassa solidale ligure
a sostegno dei compagni e delle compagne colpiti dalla repressione di Stato

sottoscrizione 10 euro

per festeggiare in quartiere la ricchezza della condivisione,
per rilanciare rapporti solidali
e di mutuo appoggio fra chi
è stanco di accontentarsi
delle briciole elemosinate
dal banchetto dei potenti!

PIAZZA VALORIA (non piazza dei giustiniani)

DOMENICA 8 LUGLIO 2012 ORE 19.30

prenotarsi entro il giorno prima presso la Casa Occupata Giustiniani 19, il Centro di Documentazione Il Grimaldello o alla mail grimaldelloge[at]libero.it