Un mese d’occupazione: domenica solidale con i compagni indagati il 10giugno09

DOMENICA 4 DICEMBRE

dalle 18
resoconto sulla situazione dei compagni indagati il 10 giugno ‘09, in compagnia degli avvocati
dalle 20
grande cena benefit per Massimo | sottoscrizione 15 euro
prenotati entro il giorno prima a voce o via mail

Di seguito maggiori info su processo e sentenze…

TERRORISTA E’ CHI BOMBARDA, AFFAMA, IMPRIGIONA
Il 10 giugno 2009 Massi, Gian, Bruno, Gigi e Dino vengono arrestati con l’accusa di associazione sovversiva costituita in banda armata. Nel gennaio 2010 vengono arrestati anche Manolo e Costantino con la stessa accusa e scarcerati dopo alcuni mesi. Il 19 maggio di quest’anno dopo due anni di detenzione Gigi Fallico muore in carcere per mancanza di cure appropriate dopo giorni di forti dolori al petto e pressione arteriosa alle stelle.
Il 16 settembre 2010 è iniziato il processo presso la corte d’assise di Roma. Durante l’udienza del 16 novembre 2011 Gianfranco ha rilasciato la seguente dichiarazione spontanea:
Avrei preferito non prendere la parola in quest’aula, perchè ritengo non sia la sede adatta per parlare alla gente che mi interessa e perchè sono insofferente a queste forma di liturgia. Tuttavia penso che vadano dette un paio di cose sul significato di questo processo.
Il concetto di fondo è questo: ogni sistema difende se stesso con tutti i mezzi a sua disposizione, siano essi legali od illegali in base alle leggi del sistema stesso, e ciò è tanto più vero nei periodi di crisi generale del sistema come quello in cui stiamo vivendo. I comunisti sono da sempre il nemico principale di questo sistema e quindi è abbastanza normale che vengano colpiti.
Naturalmente tutto ciò non viene esplicitato, non viene mostrato chiaramente, ma piuttosto si mette in scena la rappresentazione del diritto. Alla repressione si mette la maschera di un garantismo formale che poi sappiamo tutti benissimo non esistere nella realtà. Tale rappresentazione con il suo gioco delle parti è per l’appunto il processo penale. In essa l’unica figura schietta, a suo modo sincera, è quella del pubblico ministero, il cui intento manifesto è distruggere con ogni mezzo gli imputati. Distruzione che è giudiziaria, cioè anni di galera, ma anche politica, economica, affettiva, e talvolta anche fisica, come nel caso fra i molti di Gigi Fallico. A questo punto finisce ogni finzione, qui c’è lo stato che dice “mi prendo la tua vita” ma così facendo per lo meno butta la maschera ed il processo si mostra per quello che realmente è, un momento ed uno strumento dell’oppressione di classe.
Io so, non lo posso provare, ma lo so, che qualcuno ha messo il mio dna su quella bicicletta. Naturalmente questo lo so io, lo sa chi ce l’ha messo, lo sa l’eventuale mandante e a questo punto, forse, incominciano a sospettarlo tutti quelli che hanno seguito questa vicenda. L’utilizzo di certi metodi da parte della repressione non è assolutamente una novità e infatti non ne sono minimamente meravigliato.
Si potrebbe pensare che si tratti di una dimostrazione di forza da parte del sistema, come dire, chi detiene il potere può fare quello che vuole, ed in parte ciò è vero, ma al contempo a me sembra anche un sintomo di debolezza, perchè uno stato che fosse sicuro del suo diritto forse non avrebbe bisogno di ricorrere a simili bassezze.
Comunque sia, non c’è bisogno di tutto questo per sapere che in tutti i processi in generale, ma in modo particolare in questi processi qui, i processi politici, si amministra la giustizia di classe e si giudicano gli imputati soprattutto in base alla loro identità.
Io sono comunista ed in quanto tale verrò condannato, perchè è della lotta di classe nel suo complesso che ha paura il sistema. Tuttavia sono molto, molto orgoglioso di esserlo. Quanto all’accusa di aver danneggiato l’immagine del paese ed indotto paura nella popolazione, sinceramente mi sembra rasentare il ridicolo. Se stiamo parlando di questo paese reale, chi è che lo danneggia non solo nell’immagine? Chi è che fa realmente paura alla gente distruggendone le condizioni di sopravvivenza? Coloro che si oppongono ad un sistema globalmente iniquo o piuttosto la classe dominante di quel sistema nel suo complesso?
Questo sistema economico-sociale, il capitalismo , lo stato e le istituzioni che dal capitalismo derivano, che si fondano sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che producono incessantemente ricchezza per pochi e miseria per molti, guerra, distruzione dell’ambiente a scopo di profitto, ingiustizia sociale e corruzione, come per altro si vede dalla cronaca quotidiana, non mi sembra che abbiano l’autorità, tanto meno l’autorevolezza per giudicarci, hanno solo la forza bruta per farlo fin tanto che ce l’hanno.
In sintesi, noi come classe, abbiamo un problema di forza, non ne abbiamo ancora abbastanza. Loro hanno un problema di legittimazione perchè non ne hanno più. Possono benissimo fregarsene, non dico di no, ma, attenzione, la storia è dialettica e la classe che oggi è dominante ha già iniziato il suo declino.
Il 21 novembre 2011 è stata emessa la sentenza di primo grado: l’associazione sovversiva e la banda armata non sussistono per nessuno degli imputati. Gian e Massi sono stati condannati per cospirazione politica, detenzione e porto d’arma rispettivamente a 8 anni e 6 mesi e 7 anni e 6 mesi. E’ stato inoltre richiesto un risarcimento danni di 50.000 euro nei confronti del Ministero della Difesa ed il pagamento delle spese processuali e di mantenimento carcerario.
Dino è stato condannato a 4 anni e 6 mesi per detenzione d’arma e anche lui al pagamento delle spese.
Manolo, Costantino e Bruno sono stati assolti.
Non ci riconosciamo nei concetti di innocenza e colpevolezza, propri delle aule di tribunale e ribadiamo la nostra solidarietà e vicinanza ai compagni.
Alcuni/e compagni/e

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Occupy America!

MERCOLEDI’ 30 NOVEMBRE 2011 dalle 18
Presentazione e proiezione di filmati sul movimento Occupaty wall street e Occupy Oackland

New York, 17 settembre, the revolution begins…
Da metà settembre il volto di molte città statunitensi è parzialmente cambiato.
I grandi centri urbani e o piccoli abitati dell’”America profonda” sono attraversati da un movimento che cerca di reagire attivamente alle conseguenze sociali della crisi e mettere in discussione l’attuale sistema sociale.
Assemblee aperte e permanenti nel centro cittadino permettono alle persone di discutere, organizzarsi, condividere un pasto caldo, attingere un libro da una improvvisata biblioteca ambulante.
La risposta del blocco di potere nord-americano è stata fino ad ora più orientata a reprimere questo movimento che a recuperarlo, ma proprio la violenza poliziesca ha allargato il consenso nei confronti della mobilitazione e ne ha arricchito le pratiche, facendogli fare un “salto di qualità”.
In seguito allo sgombero violento della piazza ad Oakland in California, un manifestante veterano della guerra in Iraq viene ferito quasi mortalmente.
La risposta è stata la decisione unanime dell’assemblea di proporre uno sciopero generale che bloccasse la città e il quarto porto degli Stati Uniti, sanzionando le aziende intenzionate a prendere provvedimenti disciplinari contro gli scioperanti.
Così è stato e il 2 novembre grazie anche all’appoggio di alcuni sindacali locali, la città è stata bloccata, attraversata da una festante marea umana che ha occupato anche i varchi del porto.
È interessante notare che non ha sconvolto nessuno il fatto che una parte del movimento si organizzasse per sanzionare in maniera “più robusta” alcune banche lungo il percorso.

Together we are unstoppable!
Da un corteo pacifico e dall’occupazione con le tende di una piazza, le forme di lotta si sono ampliate, anche perché la repressione coordinata a livello statale ha cercato di stroncare nuovamente questa esperienza, che non sembra comunque volere arroccarsi solo nella pratica dell’accampamento e in discussioni permanenti su cosa e come trasformare l’esistente.
Alcuni esempi: resistenza agli sgomberi degli inquilini morosi, difesa della scuola pubblica nei quartieri popolari, ri-appropriazione di spazi in ambito urbano, boicottaggio del consumo natalizio, guerriglia gardening, iniziative di sostegno alle lotte dei migranti e dei lavoratori…
Nel mese di dicembre sono previsti uno sciopero di tutti i lavoratori del porto della costa ovest, una giornata “nazionale” di lotta contro gli sfratti, una mobilitazione contro gli acquisti natalizi e molto altro.

Seize the time!
Per questo ci sembra importante cercare di capire meglio cosa sta succedendo negli USA, partendo proprio dal punto di vista di coloro che stanno facendo crescere questa esperienza, dando spazio ai documenti che il movimento stesso ha prodotto, e introducendo il contesto in cui si sono sviluppati.

Benefit per Juan

SABATO 26 NOVEMBRE 2011
dalle ore 18
alla casa occupata Giustiniani19
genova, centro storico, parallela di canneto il lungo e san bernardo

distro > bar > buffet > djset

BENEFIT PER JUAN

“Ogni società che voi costruirete avrà i suoi margini, e sui margini di ogni società si aggireranno i vagabondi eroici e scapigliati dei pensieri vergini e selvaggi che soli sanno vivere sempre nuove e formidabili esplosioni ribelli!
Io sarò tra quelli! ”

Un fine settimana straoccupato

Sabato 19 novembre

# ore 15.00
gancio davanti alla casa occupata di via dei Giustiniani 19
deriva gioiosa in centro storico
volantinaggio, carretti, musica e tamburi
RIPRENDIAMOCI GLI SPAZI!

# ore 21.00
bar popolare e serata musicale

Domenica 20 novembre

alla casa occupata di via dei Giustiniani19
centro storico, genova

# ore 16
SPETTACOLO DI BURATTINI

# ore 20.30
CENA POPOLARE
(prenotarsi entro la sera precedente, a voce o scrivendo alla mail giustiniani19[at]canaglie.org)

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Diavoli nel fango

Alcune giornate segnano la vita delle città e dei suoi abitanti in maniera indelebile. Certe volte, in una manciata di giorni, si possono provare sentimenti così contrastanti che, chi non li ha vissuti, non può comprendere a pieno.
I metereologi prevedevano i rischi, i giornali riportavano titoli apocalittici, eppure tutto sembrava come un normale acquazzone. Dietro l’incredulità, che poche ore dopo avremmo maledetto, ci sono ragioni ben precise. La nostra quotidianità è scandita da orari, schemi, tragitti non decisi da noi: sono quelli che ci portano ogni giorno nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università. Chi giudica stupidi o imprudenti coloro che hanno rischiato o perso la vita uscendo nel bel mezzo dell’inferno per raggiungere parenti, amici o semplicemente la propria casa, non tiene conto del fatto che viviamo in una società dove purtroppo non ci è concesso rimanere sotto le coperte se il tempo fuori non ci aggrada.
Le scuole erano aperte, ai lavoratori di ogni categoria toccava far funzionare la città come in un qualsiasi giorno, macchine e cassonetti (che per partite di calcio o semplici manifestazioni vengono portati via senza il minimo buonsenso) rimanevano al loro posto. Per gli errori di valutazione degli “esperti” e di chi ha in mano il potere in questa città, non si è evitato l’evitabile: la strage di chi lavorava come in un giorno normale o di chi tentava di raggiungere i propri cari (la rete di telefonia mobile impazzita per 24 h rende bene la quantità di persone che avevano qualcuno per cui stare in pensiero).
Ma c’è anche stato un duplice errore di noi tutti. Credere alle istituzioni, che non meritano alcuna fiducia; delegare a chi ci comanda la sicurezza nostra e di chi ci è più caro. La reazione dei giorni seguenti però possiamo definirla incredibile se non magica. Una città che spesso viene descritta come avida, soprattutto di sentimenti, dove della socialità e del mutuo appoggio, per cui i quartieri erano famosi, non è rimasto che uno sbiadito ricordo, ha deciso finalmente di non aspettare che dai piani alti arrivassero le soluzioni e gli aiuti.
Sotto gli occhi complici dei passanti i cantieri della città sono stati “ripuliti”, da alcuni volenterosi, di tutto ciò che poteva essere utile: non hanno aspettato che qualcuno dicesse dove andare, non hanno aspettato che qualcuno procurasse pale, secchi, cuffe.
La macchina dei soccorsi non convinceva nessuno: pochi uomini, pochi mezzi, l’assurdità delle strade distrutte dalla furia del fango, zone altamente presidiate dalle Forze dell’Ordine perché sotto i riflettori dei media, e zone completamente dimenticate dalla stessa Protezione Civile, che nel frattempo dissuadeva dal muoversi autonomamente chi voleva dare una mano.
Quando abbiamo iniziato a lavorare ci sentivamo impotenti, impacciati, quasi inutili. Ma col passare delle ore, con l’aumentare delle braccia abbiamo iniziato a renderci conto della nostra forza, guardavamo increduli riemergere i marciapiedi, i tombini, le panchine prima irriconoscibili. L’entusiasmo del trovare in un amico o in un conoscente un fratello, da abbracciare alla fine delle mille piccole “imprese” che hanno segnato le giornate, lo scovare in sconosciuti lo stesso sorriso sui volti sporchi e affaticatici ha fatto sentire vicini. Nessuno comandava le operazioni, ognuno metteva a disposizione la propria esperienza e le proprie conoscenze.
Dividerci i pasti distribuiti, brindare con le birre regalate, passarci sigarette… Dietro la gioia del riscoprire che uniti e auto-organizzati si vince c’è la consapevolezza di essersi opposti a una devastazione, che non cade dal cielo come l’acqua ma che si infiltra nelle nostre vite quotidiane. La scelta di non delegare ad autorità e istituzioni la pulizia delle strade, l’aiuto a chi ha perso casa, non è del tutto “angelica” come i media provano a far passare.
Quella voglia di vedere coi nostri occhi le zone disastrate, procurarci da soli il necessario per ripulirle, lavorare dividendoci spontaneamente compiti e mansioni, inventarsi soluzioni per superare senza scoraggiarsi ogni ostacolo, non nasce solo da un sentimento di solidarietà ma anche da precisi motivi di rabbia: la rabbia verso chi considera agibili pezzi di città che si trasformano in trappole mortali e allo stesso tempo sfratta chi non può permettersi un affitto o chi vive in edifici che per motivi speculativi vengono considerati inagibili; la rabbia verso chi ha tenuto aperti luoghi di lavoro e scuole per poi addirittura vantarsene il giorno seguente, la rabbia verso chi pretende di comandarci, decidere per noi e poi si dimostra totalmente sprezzante delle vite degli abitanti della città; la rabbia verso chi ha speculato per decenni cementificando, edificando dove era folle, strozzando in una morsa di case abitate corsi d’acqua poi abbandonati a sé stessi.
Questa rabbia ha donato fiducia in noi stessi e negli altri abitanti della città, ci ha convinti definitivamente a non avere nessuna fiducia in politici di ogni colore e istituzioni, il cui solo compito è di perpetrare la ricchezza di pochi impoverendo molti. Tagli ai servizi pubblici (sanità, trasporti, istruzione, assistenza), lavoro precario e introvabile, strozzinaggio legalizzato tramite prestiti e mutui, ci rendono sempre più sfruttati e ricattabili.
Non dimentichiamoci la lezione di questi giorni: supportandoci, incontrandoci, conoscendoci possiamo migliorare i nostri quartieri e riscoprirci più forti e capaci delle istituzioni. Non deleghiamo a nessuno i nostri bisogni: che si pretendano case, rimborsi, aiuti a chi ha perso la casa o a chi ha subito danni nell’alluvione, e che non si creda a nessuna promessa.
Se le case non arrivano presto, che vengano prese! La città è piena di edifici in ottime condizioni perfettamente abitabili, rompere i lucchetti e le serrature, prenderseli, è un gesto giusto e sacrosanto quanto spalare via il fango.
Diavoli nel fango

Presentazione dell’esperienza torinese degli Orti Urbani + cena

venerdì 18 novembre, alle h.18
ALLA CASA OCCUPATA DI VIA GIUSTINIANI 19

“Allora forse questa bella crisi che travolge ogni certezza può rappresentare un’opportunità: invece dell’ennesimo motivo per continuare a lamentarsi e sprofondare tra miseria e rassegnazione, può esser l’occasione di reagire, iniziando a riprenderci ciò di cui abbiamo bisogno. A cominciare da un pezzetto di terra abbandonato davanti a casa.”

Da due anni e mezzo gli orti urbani di Mirafiori aggregano decine di persone in un’esperienza di autorganizzazione e autogestione, di contrapposizione di momenti di socialità, condivisione e vita al modello “casa-lavoro-supermarket”.
Ne parliamo con alcuni ortolani torinesi.

* per l’occasione verrà anche presentato l’opuscolo di H.Bey, Avant-gardening, Nautilus, 2011
* a seguire cena di autofinanziamento (prenotarsi entro la sera precedente alla mail giustiniani19[at]canaglie.org)

“Torino, Mirafiori-Lingotto. Alveare di cemento costruito intorno alla Fiat. Quartiere operaio nato da un vero e proprio esodo, che ha ammassato uomini e donne a ridosso delle fabbriche in cui, giorno dopo giorno, naufragava il miraggio di una vita più libera e felice. Tanti sono morti tra macchinari e catene di montaggio, chi stroncato da incidenti mortali chi consumato lentamente da cosiddette “malattie professionali”. Quasi tutti hanno capito l’inganno che stava dietro alla promessa di un radioso futuro garantito dalla produzione industriale.
Da circa un decennio, a ridosso della ferrovia, languono alcuni terreni di proprietà di enti pubblici. Per anni questi pezzi di terra sono stati vissuti dagli abitanti del quartiere, trasformati in orti urbani e in luoghi di incontro e socialità, spazi e momenti sottratti al ritmo della fabbrica. Oggi, solo una piccola parte di questi terreni è ancora coltivata da abitanti della zona, mentre la gran parte è stata sgomberata e recintata; si è preferito imporne l’abbandono piuttosto che permettere a qualcuno di ritagliarsi questo pur minimo spazio di autonomia…
Noi, oggi, abbiamo deciso di riappropriarci di ciò che ci è stato sottratto, a cominciare da queste terre, facendone nuovamente degli orti da condividere con chiunque, del quartiere o meno, ne abbia desiderio”.
Torino – 22 marzo 2009, Ortolani di ventura a Mirafiori

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Storia del movimento di liberazione curdo

Mercoledì 9 novembre
ore 18
@ casa occupata giustiniani 19
via dei giustiniani 19
(parallela di via san bernardo e via canneto il lungo)
genova, centro storico

STORIA DEL MOVIMENTO DI LIBERAZIONE CURDO
incontro con alcuni compagni provenienti dai territori più caldi del kurdistan.

Le politiche di negazione, distruzione e assimilazione dello stato turco sul popolo curdo.
I villaggi-comune in Yuksekova, il prototipo di federalismo senza-Stato.
Le possibilità di sbocco anarchico: ecologismo, uguaglianza, autodeterminazione.