Corteo NoTav 11 marzo + presidio al carcere

PER LA LIBERAZIONE DI TUTTI GLI ARRESTATI

PER IL RITIRO DELLE TRUPPE D’OCCUPAZIONE

PER IL RILANCIO DELL’OPPOSIZIONE SOCIALE.

GIOVEDI’ 8 H. 21 / ASSEMBLEA CITTADINA / C.A.P.
Circolo Autorità Portuale di via Albertazzi (a Di Negro davanti ai vigili del fuoco). Genova

DOMENICA 11 H. 18 / CORTEO@Genova / PIAZZA DE FERRARI
E PRESIDIO SOTTO IL CARCERE DI MARASSI H. 20

LA VALLE CHE AVANZA IN CITTA’

In Val Susa un’intera popolazione è in lotta da anni, con l’appoggio di centinaia di migliaia di solidali in tutta Italia. La scorsa settimana, all’ulteriore allargamento del cantiere, all’esproprio della baita Clarea e al tentato omicidio di Luca, la valle ha reagito rilanciando i blocchi e le barricate su strade, autostrade e ferrovie.
L’auspicio estivo del “portare la valle nelle città” ha altresì preso corpo e sostanza. Blocchi, cortei e momenti di condivisione si sono propagati in tutta Italia e all’estero da Lisbona a Kiev. La prospettiva di portare la migliore solidarietà ai resistenti valsusini si è inevitabilmente legata con l’esigenza di unire lotte comuni.
Quel che più lo Stato teme è la reale autorganizzazione della gente, la lotta autonoma e senza mediatori, la
delegittimazione della sua autorità, l’emergere di una comunità autentica in lotta.
Se la Val Susa perde perderemo tutti. Se la Val Susa vince, e questo dipende da tutti noi, allora dimostreremo che resistere si può, che la lotta paga, che cambiare questo mondo è possibile ed è entusiasmante.
Per questo siamo al fianco della dignità e caparbietà dei valsusini. Per questo siamo tutti NoTav.

Posted in comunicati | Commenti disabilitati su Corteo NoTav 11 marzo + presidio al carcere

BLOCCHIAMO CASELLI

PORTIAMO LA VALLE IN CITTA’
MARTEDI’ 21 ORE 15.30 @ GIUSTINIANI 19

Il 26 gennaio la procura di Torino ha fatto partire un’operazione contro il movimento NOTAV, arrestando 26 persone e perquisendone una cinquantina.

Il tentativo di dividere il movimento fra buoni e cattivi, cercando di intimorire e separare i cosiddetti violenti da un ipotetico altro, deve fallire e non può lacerare la lotta contro il TAV, soprattutto dal momento che le pratiche e gli intenti in Valle scaturiscono dall’estrema spinta alla condivisione dei resistenti. Come il 27 giugno e il 3 luglio gli obiettivi trovavano concordi tutte le anime che diedero vita a quelle giornate, così oggi c’è bisogno di una difesa unitaria di tutti i colpiti dalla repressione.

Ad oggi 8 persone rimangono in carcere, mentre i restanti sono sottoposti alla detenzione domiciliare o ad altre forme di restrizione. Il titolare dell’inchiesta, Giancarlo Caselli, non è semplicemente l’attuale procuratore capo di Torino: come ex procuratore antimafia, Caselli è anche un simbolo apparentemente intoccabile per tutta una sinistra convinta che giustizia sia sinonimo di galera. Con il suo ruolo si vorrebbe nascondere l’evidenza degli interessi di affaristi collusi con la mafia nell’attuazione del treno ad alta velocità in Valsusa.

Ma il movimento NOTAV ha dimostrato efficacemente che lottare contro il treno veloce significa lottare contro gli interessi dei padroni (che siano o no mafiosi) e contro lo Stato che li difende; significa riappropriarci delle nostre esistenze e dei nostri spazi di vita. Noi sappiamo benissimo che mafia e Stato sono due sistemi di potere in bilico tra la reciproca collusione e il contrasto per l’egemonia. Noi sappiamo che lottare contro la mafia significa lottare contro lo Stato, e viceversa. Non sarà un procuratore ammantato di santità a cambiare le carte in tavola.

Noi non dimentichiamo il ruolo di Caselli negli anni ottanta nella conduzione dei processi contro gruppi rivoluzionari e movimenti sociali. Noi non dimentichiamo il suo sostegno, nel ’98, quando erano ancora pochi i nemici dell’alta velocità, all’inchiesta che portò all’arresto e alla morte in carcere di Edoardo “Baleno” Massari e Soledad “Sole” Rosas.

Portare l’esperienza della lotta in Valle nelle strade delle nostre città significa per noi riproporre le pratiche del blocco e dell’assedio privandole di ogni significato simbolico, significa porsi come obiettivo l’impedire a Caselli il suo ipocrita teatrino antimafia di facciata così come in Valsusa ci si pone quello di impedire la Tav.

Caselli non deve parlare! Fuori tutti dalle galere! Con Sole e Baleno nel cuore

RIBELLI DELLA MONTAGNA

“In Val Susa, lo Stato si è guadagnato l’odio di intere generazioni”
(cit. I peccati della Maddalena-Fratelli di TAV; documentario)

La mattina del 26 gennaio un’ingente operazione di polizia contro il movimento NOTAV su tutto il territorio nazionale ha portato all’arresto di 26 persone e all’applicazione di altre misure cautelari e restrittive per 15 persone. L’accusa è di aver partecipato a vario titolo alle calde giornate di lotta e resistenza del 27 giugno e del 3 luglio in Val di Susa. Per più di un mese a Chiomonte un territorio è stato sottratto alla sovranità dello Stato: difesa dalle barricate, la Libera Repubblica della Maddalena viveva di fatto nella zona prevista per il cantiere del cunicolo geognostico esplorativo, rimandando a lungo il suo insediamento. Il 27 giugno lo Stato interviene, sgomberando il presidio dopo una lunga resistenza sotto un diluvio di lacrimogeni e occupando militarmente l’area, recintandone solo una piccola parte rispetto a quella effettiva prevista dal progetto. Il 3 luglio, un moto di rabbia e liberazione porta all’assedio del cantiere per diverse ore, in cui tutti hanno dato vita a una data battaglia furente, attaccando e contrattaccando le truppe d’occupazione a difesa del cantiere, alla ricerca sfrenata di liberare nuovamente la zona.
Dall’esperienza della Libera repubblica della Maddalena, dove un’intera comunità minacciata dai progetti devastatori del capitale, nell’organizzarsi in una resistenza attiva per difendere la terra, ha realizzato di poter far tranquillamente a meno dello Stato, sperimentando spazi e momenti di condivisione e autogestione. Fino all’assedio al fortino-cantiere del 3 luglio, dove ciascuno, fianco a fianco, a seconda dei propri mezzi, delle proprie possibilità, delle proprie pulsioni, ha deciso di non delegare e non rimandare il momento della rabbia, di esprimere il proprio desiderio di rivalsa in seguito all’ennesimo attacco subito. Un’intera valle sotto attacco e migliaia di esasperati da questo sistema socio-economico si sono uniti per provare a riprendersi ciò che era proprio, attaccando coscientemente e assediando il cantiere e chi lo difende. L’uso massiccio della forza da parte della polizia, le cariche con le ruspe e l’idrante, le migliaia di lacrimogeni, le violenze sui manifestanti e le torture ai 5 arrestati di quel giorno non hanno stroncato la ferrea volontà di assediare il fortino militare.
La barbarie dello Stato e dell’industria è ovunque, ed ovunque è difesa da forze di polizia e sempre più da  militari in divisa mimetica: si pensi ai C.I.E, alle discariche in Campania, al territorio dell’Aquila, all’eventualità di centrali nucleari, fino alle nostre stesse strade. Il non-cantiere di Chiomonte è zona di interesse strategico nazionale, ovvero zona militare a tutti gli effetti, con tanto di mezzi da guerra cingolati, soldati e corpi speciali dei Carabinieri, che si aggiungono al già imponente dispositivo poliziesco schierato dietro il filo spinato.
Ciò che avvicina migliaia di persone alla lotta contro il TAV non sono certo solo le innumerevoli motivazioni per esserne contrari, valide per centinaia di altre drammatiche situazioni, ma il tipo di conflitto che si è sviluppato, in cui le mediazioni cadono e il proprio sentire diventa immediato, dove ogni pratica e ogni modo di esprimersi trovano il proprio spazio e il proprio tempo, in uno spirito di condivisione progettuale che si è fatta comunità di lotta e resistenza, in un conflitto che è diventato parte integrante della vita delle persone. Le esperienze delle Libere repubbliche di Venaus e della Maddalena rendono bene lo spirito, le idee, le volontà che permeano questa lotta.
Questi i brevi pensieri, cronache assai parziali di un conflitto ventennale, rispetto ai quei giorni valsusini, per cui amici e compagni sono ora sottoposti ad arresti cautelari, domiciliari e misure restrittive. Quei giorni c’eravamo tutti, insieme, fianco a fianco. Per boschi, per sentieri e sulle barricate.
L’operazione repressiva orchestrata da Caselli, così vasta, estesa ed eterogenea, tiene fede però al carattere popolare, condiviso ed eterogeneo del movimento NO TAV. Un movimento composito, complesso e articolato, che in tutto questo trova la sua forza. Davanti a ciò, ogni tentativo di esclusione e divisione cade nel vuoto. Coscienti del percorso fin qui intrapreso, la miglior risposta alla repressione è continuare a lottare, con passione e determinazione. Questa è anche, e soprattutto, la miglior solidarietà che possiamo esprimere agli arrestati e agli inquisiti.

Fuori i militari dalla Val Susa, da Genova e da ovunque.
Delle prigioni, delle gabbie, dei muri e delle recinzioni solo un cumulo di macerie.
Juan libero! Gabri libero! Liberi tutti!

maggiori info
notav.info
notavliberi.noblogs.org

[foto] Murales NO TAV LIBERI TUTTI – NO GRONDA – fuori le truppe dalla Val Susa. Di misura 40 m x 2m in via Fillak, a Genova, in Val Polcevera. La Val Polcevera è una delle zone incluse nel Progetto del Terzo Valico (Linea TAV Genova-Milano) e della Gronda , nuovo devastante raccordo autostradale di 19 chilometri che si svilupperanno tra gallerie e viadotti, in progettazione lungo tutto il Ponente genovese. Toccherà tutte le vallate che dalla costa vanno verso l’entroterra tra Bolzaneto (Valpolcevera) e Genova-Voltri.

Da Genova, con passione

Posted in comunicati | Commenti disabilitati su RIBELLI DELLA MONTAGNA

SOLIDARIETA’ AI NO TAV PERQUISITI E ARRESTATI

Giovedì 26 gennaio 2011. Questa mattina sono stati effettuati in molte città d’italia perquisizioni e arresti nelle abitazioni private e collettive, spazi occupati e altri locali di una cinquantina di persone e realtà  del movimento notav, riguardo alla lotta in valsusa durante lo sgombero della libera repubblica della maddalena del 27 giugno, e il conseguente assedio al cantiere del 3 luglio. Questa operazione, volta a reprimere un movimento che con costanza e determinazione porta avanti la resistenza all’alta velocità da ormai 20 anni, è frutto della paura di uno stato intimorito davanti a un conflitto efficace che sta di fatto fermando un progetto di portata europea e che ha saputo oltrepassare la specificità locale, raggiungendo una maturità collettiva e concretizzando la lotta nella condivisione e l’ autogestione della vita quotidiana nella libera repubblica della maddalena.

Ponendosi come  fronte significativo di opposizione negli anni bui della pace sociale in Italia,  nelle rinnovate tensioni sociali degli ultimi anni il movimento notav ha saputo unirsi ad altri focolai di  ribellione, animando e infondendo fiducia in chi non ha intenzione di abbassare la testa davanti ai progetti dei potenti. Non stupisce quindi che l’operazione sia a 360 gradi.  Non dobbiamo stupirci: gli strumenti che lo stato normalmente utilizza per stroncare la dissidenza sono il carcere e la repressione. Ce lo si aspettava, lo stato ci avrebbe fatto pagare il conto per le dure giornate di resistenza valsusina. Ma sappiamo anche che solo riproducendo certe pratiche possiamo mantenere vive le possibilità di vittoria.

 

Chiunque abbia conosciuto e vissuto la val susa e condiviso e amato la lotta notav, sa bene che c’è la forza e la determinazione di continuare fino in fondo, fermando il tav, superando ogni ostacolo. In quei boschi, sui quei sentieri, davanti a quelle recinzioni e sulle barricate ci siamo stati e ci saremo tutti quanti, ancor di più e ancora più determinati!

Queste poche parole per abbracciare e salutare calorosamente tutti gli arrestati, perquisiti e denunciati. Se la val susa ci è entrata nel cuore ed è dilagata fino ad oltre le alpi, continuiamo  a   farla vivere ovunque. Facciamo tremare la terra sotto i piedi dello Stato. Blocchiamo tutto!

Come sempre, la miglior solidarietà è continuare a lottare.

ORA E SEMPRE NOTAV!
Libertà per tutti e tutte

Casa Occupata Giustiniani 19, Genova

maggiori info
notav.info

Posted in comunicati | Commenti disabilitati su SOLIDARIETA’ AI NO TAV PERQUISITI E ARRESTATI

Giustiniani 19 non si tocca! Comunicato e corteo

Invitiamo tutt* a partecipare al presidio itinerante in centro storico contro le minacce di sgombero, appuntamento venerdì 23 dicembre ore 15 in via dei Giustiniani 19.

GIUSTINIANI 19 RESISTE
In questi giorni ci è arrivata notizia di 25 denunce per l’occupazione di via dei Giustiniani 19, da parte del demanio proprietario dello stabile, per motivi di sicurezza.
Il palazzo, su cui grava un decreto di inagibilità, costituirebbe un pericolo per noi, per i frequentatori dello spazio occupato e addirittura per chi transita sulla sede stradale.
E noi saremmo un gruppo di irresponsabili che mettono a repentaglio l’incolumità nostra e degli altri.
Le cose non stanno così. Il palazzo è stato visionato da un buon numero di tecnici solidali: ingegneri, architetti e restauratori che hanno effettuato numerosi sopralluoghi, senza ravvisare elementi di criticità o situazioni di grave pericolo.
Abbiamo concordato alcune norme per un uso progressivo e consapevole dello stabile, abbiamo preparato un dettagliato piano di interventi mirati a rendere fruibile in maniera sicura l’intero palazzo.
I lavori in questo senso procedono spediti con l’aiuto di molte persone che, come i tecnici, ci hanno dato la loro solidarietà. Chi portandoci cose di cui abbiamo bisogno, chi mettendo il proprio tempo, la propria fatica e le proprie capacità.
E’ stato sistemato il fondo al piano terra che è stato adibito a spazio sociale con bar popolare.
In esso abbiamo organizzato svariate attività quali serate musicali, proiezioni, dibattiti, cene sociali e spettacoli teatrali per grandi e piccini.
Al primo piano abbiamo sistemato una cucina collettiva con sala da pranzo, ed un’attrezzata officina della casa.
Il prossimo passo sarà quello di rendere agibile il secondo piano dove troveranno spazio laboratori artistici ed attività sociali auto-organizzate (doposcuola, attività coi bambini, palestra popolare, mercatino di scambio di vestiti…) pensate e create da noi e altra gente che vive nel nostro quartiere.
Ai piani ancora superiori stiamo sistemando i vari appartamenti che saranno divisi tra gli occupanti che hanno bisogno di un’abitazione e non possono o non vogliono più pagare affitti da rapina.

Non accettiamo di delegare la nostra sicurezza agli uomini delle istituzioni, gli stessi che hanno gestito con assoluta irresponsabilità l’alluvione di novembre, gli stessi che hanno lasciato piazzale Adriatico nelle stesse condizioni dell’inondazione degli anni ’70, continuando però a percepire affitti per case inagibili, quegli uomini che sempre più spesso vediamo coinvolti in losche faccende di appalti truccati e più attenti a costruire cessi nobili per meno nobili culi, che a interessarsi della sicurezza dei cittadini, della manutenzione del territorio o della sicurezza sul lavoro.
Su centinaia di edifici del centro storico gravano decreti di inagibilità e parecchi sono in condizioni ben peggiori di quello che abbiamo occupato noi, ma nessuno si preoccupa di chi vive in quelle abitazioni, mettendole in sicurezza.
Se la situazione di via dei Giustiniani 19 era così preoccupante, perché i soldi pubblici non sono stati spesi per altri interventi piuttosto che per il rifacimento della facciata in occasione del G8 del 2001? Forse era più stimolante svuotare il palazzo e cercare di venderlo.
Comunque non è più un problema, visto che abbiamo deciso di fare da soli: per quanto concerne la sicurezza dell’edificio, presto renderemo pubblico insieme ai tecnici il programma di recupero dello stabile che è stato preparato.

Ma è di un altro tipo di sicurezza di cui vogliamo parlare, che è quella che possiamo ottenere uscendo dalla frammentazione sociale in cui ci hanno relegati e ricostruendo legami basati sull’auto-organizzazione, la solidarietà ed il mutuo soccorso. Cominciando a riprenderci in ogni ambito della nostra vita (lavoro, scuola, casa, socialità) quello che ci viene tolto o negato.
Insieme possiamo cercare e trovare un’alternativa concreta a questa realtà surreale e drogata dai mass media, a questo sistema economico opprimente governato da banchieri ed industriali. Insieme possiamo smettere di pagare le loro crisi, i loro debiti e le loro guerre.
Possiamo immaginare una società giusta, basata sui bisogni dell’uomo e non su quelli del capitale e delle merci, e cercando di costruirla insieme ai nostri compagni di strada, scalderemo i nostri cuori nel calore della lotta.
Se facciamo questo, denunce e minacce di sgombero saranno solo un dettaglio.

ISTITUZIONI, DEMANIO, QUESTURA:
“NON SI PUO’ FERMARE IL VENTO, CI FATE SOLO PERDERE TEMPO.”
GIUSTINIANI 19 NON SI TOCCA
OCCUPARE TUTTO!

gli occupanti di Giustiniani 19

# Venerdì 23 dicembre ore 15 PRESIDIO ITINERANTE in centro storico

a seguire…
PRESENTAZIONE DEL PROGETTO
CASSA LIGURE DI SOLIDARIETA’ ANTIREPRESSIVA
e aperitivo/cena a buffet benefit per la Cassa
@ CASA OCCUPATA GIUSTINIANI 19

…state agitati!

Resoconto in seguito al benefit per Massimo

Domenica 4 dicembre, dopo un riepilogo della situazione processuale in seguito alle sentenze per i compagni arrestati il 10 giugno ’09, si è tenuta alla casa occupata giustiniani19 una cena benefit in sostegno a Massimo Porcile.
Hanno partecipato più di 60 solidali. Grazie al loro contributo, e a quello della Cassa Ligure di Solidarietà Antirepressiva, sono stati raccolti 1180 euro, che sono stati divisi tra la famiglia di Massimo e l’avvocato, per il rimborso spese.
Ringraziando tutti coloro che sono intervenuti, ricordiamo che sarà effettuata un’iniziativa analoga dopo il deposito delle sentenze a fine febbraio.
Ulteriore appuntamento sarà quello del 15 dicembre alle ore 21, quando chiunque sia interessato potrà partecipare alla preparazione di un manifesto di solidarietà.

La solidarietà è un’arma.
Usiamola.

Un mese d’occupazione: domenica solidale con i compagni indagati il 10giugno09

DOMENICA 4 DICEMBRE

dalle 18
resoconto sulla situazione dei compagni indagati il 10 giugno ‘09, in compagnia degli avvocati
dalle 20
grande cena benefit per Massimo | sottoscrizione 15 euro
prenotati entro il giorno prima a voce o via mail

Di seguito maggiori info su processo e sentenze…

TERRORISTA E’ CHI BOMBARDA, AFFAMA, IMPRIGIONA
Il 10 giugno 2009 Massi, Gian, Bruno, Gigi e Dino vengono arrestati con l’accusa di associazione sovversiva costituita in banda armata. Nel gennaio 2010 vengono arrestati anche Manolo e Costantino con la stessa accusa e scarcerati dopo alcuni mesi. Il 19 maggio di quest’anno dopo due anni di detenzione Gigi Fallico muore in carcere per mancanza di cure appropriate dopo giorni di forti dolori al petto e pressione arteriosa alle stelle.
Il 16 settembre 2010 è iniziato il processo presso la corte d’assise di Roma. Durante l’udienza del 16 novembre 2011 Gianfranco ha rilasciato la seguente dichiarazione spontanea:
Avrei preferito non prendere la parola in quest’aula, perchè ritengo non sia la sede adatta per parlare alla gente che mi interessa e perchè sono insofferente a queste forma di liturgia. Tuttavia penso che vadano dette un paio di cose sul significato di questo processo.
Il concetto di fondo è questo: ogni sistema difende se stesso con tutti i mezzi a sua disposizione, siano essi legali od illegali in base alle leggi del sistema stesso, e ciò è tanto più vero nei periodi di crisi generale del sistema come quello in cui stiamo vivendo. I comunisti sono da sempre il nemico principale di questo sistema e quindi è abbastanza normale che vengano colpiti.
Naturalmente tutto ciò non viene esplicitato, non viene mostrato chiaramente, ma piuttosto si mette in scena la rappresentazione del diritto. Alla repressione si mette la maschera di un garantismo formale che poi sappiamo tutti benissimo non esistere nella realtà. Tale rappresentazione con il suo gioco delle parti è per l’appunto il processo penale. In essa l’unica figura schietta, a suo modo sincera, è quella del pubblico ministero, il cui intento manifesto è distruggere con ogni mezzo gli imputati. Distruzione che è giudiziaria, cioè anni di galera, ma anche politica, economica, affettiva, e talvolta anche fisica, come nel caso fra i molti di Gigi Fallico. A questo punto finisce ogni finzione, qui c’è lo stato che dice “mi prendo la tua vita” ma così facendo per lo meno butta la maschera ed il processo si mostra per quello che realmente è, un momento ed uno strumento dell’oppressione di classe.
Io so, non lo posso provare, ma lo so, che qualcuno ha messo il mio dna su quella bicicletta. Naturalmente questo lo so io, lo sa chi ce l’ha messo, lo sa l’eventuale mandante e a questo punto, forse, incominciano a sospettarlo tutti quelli che hanno seguito questa vicenda. L’utilizzo di certi metodi da parte della repressione non è assolutamente una novità e infatti non ne sono minimamente meravigliato.
Si potrebbe pensare che si tratti di una dimostrazione di forza da parte del sistema, come dire, chi detiene il potere può fare quello che vuole, ed in parte ciò è vero, ma al contempo a me sembra anche un sintomo di debolezza, perchè uno stato che fosse sicuro del suo diritto forse non avrebbe bisogno di ricorrere a simili bassezze.
Comunque sia, non c’è bisogno di tutto questo per sapere che in tutti i processi in generale, ma in modo particolare in questi processi qui, i processi politici, si amministra la giustizia di classe e si giudicano gli imputati soprattutto in base alla loro identità.
Io sono comunista ed in quanto tale verrò condannato, perchè è della lotta di classe nel suo complesso che ha paura il sistema. Tuttavia sono molto, molto orgoglioso di esserlo. Quanto all’accusa di aver danneggiato l’immagine del paese ed indotto paura nella popolazione, sinceramente mi sembra rasentare il ridicolo. Se stiamo parlando di questo paese reale, chi è che lo danneggia non solo nell’immagine? Chi è che fa realmente paura alla gente distruggendone le condizioni di sopravvivenza? Coloro che si oppongono ad un sistema globalmente iniquo o piuttosto la classe dominante di quel sistema nel suo complesso?
Questo sistema economico-sociale, il capitalismo , lo stato e le istituzioni che dal capitalismo derivano, che si fondano sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, che producono incessantemente ricchezza per pochi e miseria per molti, guerra, distruzione dell’ambiente a scopo di profitto, ingiustizia sociale e corruzione, come per altro si vede dalla cronaca quotidiana, non mi sembra che abbiano l’autorità, tanto meno l’autorevolezza per giudicarci, hanno solo la forza bruta per farlo fin tanto che ce l’hanno.
In sintesi, noi come classe, abbiamo un problema di forza, non ne abbiamo ancora abbastanza. Loro hanno un problema di legittimazione perchè non ne hanno più. Possono benissimo fregarsene, non dico di no, ma, attenzione, la storia è dialettica e la classe che oggi è dominante ha già iniziato il suo declino.
Il 21 novembre 2011 è stata emessa la sentenza di primo grado: l’associazione sovversiva e la banda armata non sussistono per nessuno degli imputati. Gian e Massi sono stati condannati per cospirazione politica, detenzione e porto d’arma rispettivamente a 8 anni e 6 mesi e 7 anni e 6 mesi. E’ stato inoltre richiesto un risarcimento danni di 50.000 euro nei confronti del Ministero della Difesa ed il pagamento delle spese processuali e di mantenimento carcerario.
Dino è stato condannato a 4 anni e 6 mesi per detenzione d’arma e anche lui al pagamento delle spese.
Manolo, Costantino e Bruno sono stati assolti.
Non ci riconosciamo nei concetti di innocenza e colpevolezza, propri delle aule di tribunale e ribadiamo la nostra solidarietà e vicinanza ai compagni.
Alcuni/e compagni/e

Posted in comunicati, eventi, locandine | Commenti disabilitati su Un mese d’occupazione: domenica solidale con i compagni indagati il 10giugno09

Benefit per Juan

SABATO 26 NOVEMBRE 2011
dalle ore 18
alla casa occupata Giustiniani19
genova, centro storico, parallela di canneto il lungo e san bernardo

distro > bar > buffet > djset

BENEFIT PER JUAN

“Ogni società che voi costruirete avrà i suoi margini, e sui margini di ogni società si aggireranno i vagabondi eroici e scapigliati dei pensieri vergini e selvaggi che soli sanno vivere sempre nuove e formidabili esplosioni ribelli!
Io sarò tra quelli! ”

Diavoli nel fango

Alcune giornate segnano la vita delle città e dei suoi abitanti in maniera indelebile. Certe volte, in una manciata di giorni, si possono provare sentimenti così contrastanti che, chi non li ha vissuti, non può comprendere a pieno.
I metereologi prevedevano i rischi, i giornali riportavano titoli apocalittici, eppure tutto sembrava come un normale acquazzone. Dietro l’incredulità, che poche ore dopo avremmo maledetto, ci sono ragioni ben precise. La nostra quotidianità è scandita da orari, schemi, tragitti non decisi da noi: sono quelli che ci portano ogni giorno nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università. Chi giudica stupidi o imprudenti coloro che hanno rischiato o perso la vita uscendo nel bel mezzo dell’inferno per raggiungere parenti, amici o semplicemente la propria casa, non tiene conto del fatto che viviamo in una società dove purtroppo non ci è concesso rimanere sotto le coperte se il tempo fuori non ci aggrada.
Le scuole erano aperte, ai lavoratori di ogni categoria toccava far funzionare la città come in un qualsiasi giorno, macchine e cassonetti (che per partite di calcio o semplici manifestazioni vengono portati via senza il minimo buonsenso) rimanevano al loro posto. Per gli errori di valutazione degli “esperti” e di chi ha in mano il potere in questa città, non si è evitato l’evitabile: la strage di chi lavorava come in un giorno normale o di chi tentava di raggiungere i propri cari (la rete di telefonia mobile impazzita per 24 h rende bene la quantità di persone che avevano qualcuno per cui stare in pensiero).
Ma c’è anche stato un duplice errore di noi tutti. Credere alle istituzioni, che non meritano alcuna fiducia; delegare a chi ci comanda la sicurezza nostra e di chi ci è più caro. La reazione dei giorni seguenti però possiamo definirla incredibile se non magica. Una città che spesso viene descritta come avida, soprattutto di sentimenti, dove della socialità e del mutuo appoggio, per cui i quartieri erano famosi, non è rimasto che uno sbiadito ricordo, ha deciso finalmente di non aspettare che dai piani alti arrivassero le soluzioni e gli aiuti.
Sotto gli occhi complici dei passanti i cantieri della città sono stati “ripuliti”, da alcuni volenterosi, di tutto ciò che poteva essere utile: non hanno aspettato che qualcuno dicesse dove andare, non hanno aspettato che qualcuno procurasse pale, secchi, cuffe.
La macchina dei soccorsi non convinceva nessuno: pochi uomini, pochi mezzi, l’assurdità delle strade distrutte dalla furia del fango, zone altamente presidiate dalle Forze dell’Ordine perché sotto i riflettori dei media, e zone completamente dimenticate dalla stessa Protezione Civile, che nel frattempo dissuadeva dal muoversi autonomamente chi voleva dare una mano.
Quando abbiamo iniziato a lavorare ci sentivamo impotenti, impacciati, quasi inutili. Ma col passare delle ore, con l’aumentare delle braccia abbiamo iniziato a renderci conto della nostra forza, guardavamo increduli riemergere i marciapiedi, i tombini, le panchine prima irriconoscibili. L’entusiasmo del trovare in un amico o in un conoscente un fratello, da abbracciare alla fine delle mille piccole “imprese” che hanno segnato le giornate, lo scovare in sconosciuti lo stesso sorriso sui volti sporchi e affaticatici ha fatto sentire vicini. Nessuno comandava le operazioni, ognuno metteva a disposizione la propria esperienza e le proprie conoscenze.
Dividerci i pasti distribuiti, brindare con le birre regalate, passarci sigarette… Dietro la gioia del riscoprire che uniti e auto-organizzati si vince c’è la consapevolezza di essersi opposti a una devastazione, che non cade dal cielo come l’acqua ma che si infiltra nelle nostre vite quotidiane. La scelta di non delegare ad autorità e istituzioni la pulizia delle strade, l’aiuto a chi ha perso casa, non è del tutto “angelica” come i media provano a far passare.
Quella voglia di vedere coi nostri occhi le zone disastrate, procurarci da soli il necessario per ripulirle, lavorare dividendoci spontaneamente compiti e mansioni, inventarsi soluzioni per superare senza scoraggiarsi ogni ostacolo, non nasce solo da un sentimento di solidarietà ma anche da precisi motivi di rabbia: la rabbia verso chi considera agibili pezzi di città che si trasformano in trappole mortali e allo stesso tempo sfratta chi non può permettersi un affitto o chi vive in edifici che per motivi speculativi vengono considerati inagibili; la rabbia verso chi ha tenuto aperti luoghi di lavoro e scuole per poi addirittura vantarsene il giorno seguente, la rabbia verso chi pretende di comandarci, decidere per noi e poi si dimostra totalmente sprezzante delle vite degli abitanti della città; la rabbia verso chi ha speculato per decenni cementificando, edificando dove era folle, strozzando in una morsa di case abitate corsi d’acqua poi abbandonati a sé stessi.
Questa rabbia ha donato fiducia in noi stessi e negli altri abitanti della città, ci ha convinti definitivamente a non avere nessuna fiducia in politici di ogni colore e istituzioni, il cui solo compito è di perpetrare la ricchezza di pochi impoverendo molti. Tagli ai servizi pubblici (sanità, trasporti, istruzione, assistenza), lavoro precario e introvabile, strozzinaggio legalizzato tramite prestiti e mutui, ci rendono sempre più sfruttati e ricattabili.
Non dimentichiamoci la lezione di questi giorni: supportandoci, incontrandoci, conoscendoci possiamo migliorare i nostri quartieri e riscoprirci più forti e capaci delle istituzioni. Non deleghiamo a nessuno i nostri bisogni: che si pretendano case, rimborsi, aiuti a chi ha perso la casa o a chi ha subito danni nell’alluvione, e che non si creda a nessuna promessa.
Se le case non arrivano presto, che vengano prese! La città è piena di edifici in ottime condizioni perfettamente abitabili, rompere i lucchetti e le serrature, prenderseli, è un gesto giusto e sacrosanto quanto spalare via il fango.
Diavoli nel fango

Diario di bordo: report dei primi giorni d’occupazione

I bambini giocano a nascondino al piano terra, corrono in lungo e in largo, trovano rifugio in un frigorifero recuperato, dietro un mobile in ferro in stile “burocrazia della Prima Repubblica”, poi utilizzano le sedie dopo un’affollata assemblea per fare delle navicelle.
La loro gioia ti ripaga lo sbattimento di questi giorni, e da un senso in più a questa occupazione e a ciò che potrà essere, per rubare le parole al poeta: l’arco del tiranno si è spezzato a terra, con ciò che resta i bambini ci costruiscono case per giocare.
Ci siamo presi una casa per abitare e per giocare, per vivere e lottare. Tutto qui.

Uno stabile vuoto del Demanio, se si escludono i piccioni o le persone che ci hanno transitoriamente trovato rifugio, da almeno cinque anni lasciato al degrado.

In questo sistema si lasciano marcire i frutti sugli alberi, si mandano i libri al macero, si vogliono costruire grandi opere che sono costose, inutili e devastano il territorio, sottraendo risorse alla collettività, si lasciano edifici sfitti.

Intanto la facciata era stata rifatta per il G8 del 2001, ai potenti si sa, soprattutto a quelli nostrani, piace la chirurgia estetica.
Qualche anno più tardi le associazioni e gli abitanti sono stati mandati via, con la scusa dell’inagibilità.
Intanto l’edificio si lascia vuoto, sperando che i prezzi degli immobili lievitino.
Facciamo un’ipotesi un po’ “ingarbugliata”.
Prima o poi, in procinto di essere venduto ad un privato, un solerte personaggio di un qualche ente preposto alla tutela del patrimonio immobiliare pubblico (e la sua consorteria) a cui sarebbe stato dato un incarico importante di una neo-nata agenzia per la valorizzazione del centro storico, lo avrebbe venduto a qualcuno che rientrava nella rete dei suoi interessi, speculandoci sopra, e facendo fare magari i lavori a spese della collettività, intascando i soldi e affermando il suo ruolo in questo business.
Stiamo forse fantasticando troppo, forse?
Be’ diciamo che leggiamo solo la cronaca, e come azione preventiva abbiamo occupato, visto che la crisi del debito la vogliono risolvere anche svendendo tutto ciò che rimane del patrimonio pubblico.

Per la tutela di tutti coloro che transitano nella casa occupata, ci stiamo adoperando per fare si che i consigli datici da architetti e ingeneri solidali che stanno visionando in questi giorni l’edificio, e che non hanno rilevato motivi per non rendere usufruibile lo stabile, possano dare luogo ad un più corposo dossier tecnico e facciano emergere le vere ragioni dello sgombero.
L’occupazione è anche un’operazione di trasparenza.

Adesso rendiamo vivibile il piano terra, stiamo attrezzando una cucina, un punto informatico, una biblioteca con ciò che riusciamo a recuperare e ciò che ci viene donato.

In questi giorni l’entusiasmo era palpabile, molti sono venuti a dare una mano, a iniziare a far vivere il posto come qualcosa di tutti: una scopa in mano, un tavolo spostato, qualcuno porta da mangiare, altri da bere…
Si socializzano le competenze per superare le debolezze e l’arte dell’improvvisazione: elettricisti, idraulici, cuochi e artisti, abbiamo bisogno di tutto se vogliamo essere tutto, e l’autogestione è una bella palestra.
Vengono fuori le prime idee, passanti e vicini chiedono, alcuni entrano, qualcuno visita l’intero stabile e si ferma a parlare: il rispetto reciproco e il rapporto umano non mediato sono la forma in cui vorremmo relazionarci a tutti.
La base costitutiva dell’occupazione è il rispetto degli abitanti del quartiere, principio che si è consolidato dialogando con le persone che si sono avvicinate.

Il consenso riscosso è per ora un pugno nello stomaco a chi sta già preparando il terreno, giornalisti in primis, per un eventuale sgombero.
Non ci siamo presentanti con un pacchetto di proposte pre-definito, né con una ricetta per mandare avanti le cose, ma solo con un orientamento comune e qualche “paletto”, certo le idee non mancano, ma è il nostro bisogno di relazione, di costruzione collettiva, di sperimentare ora ciò che può essere poi, che ci preme si sviluppi.
Emerge anche il bisogno abitativo, come una pubblica piaga malcelata, tenuta nascosta dai media, potremmo essere d’esempio, altri già lavorano da mesi in questa città in questo campo, del resto, si dice, ci sono qualcosa come 11.000 alloggi sfitti, e l’esigenza di una casa cresce e si fa trasversale a livello generazionale, come l’esigenza di coniugare il bisogno abitativo con la necessità di uno spazio di socialità.
Si sa, mettere il dito in un nervo scoperto dell’attuale organizzazione sociale fa breccia nei cuori e nelle menti di molti, si scopre piaga dopo piaga e la maniera di curarle collettivamente.
Scriveva qualcuno: Il sociale è un sistema di piaghe autentico, totalmente superficiale.

Ci siamo presi questo stabile per tenercelo, consci di una sensibilità sociale diffusa che può essere colta in tutte le sue potenzialità solo con l’azione pratica come sbocco per affrontare di petto la crisi.
Non abbassiamo la guardia, ma siamo consci che la migliore strategia di difesa di ciò che ci siamo presi sta nell’allargare e nell’intensificare la partecipazione a questo progetto o la sua possibile riproducibilità in questa città e non solo.
Abbiamo voglia di confrontarci con tutti singoli e gruppi di individui che vogliano relazionarsi costruttivamente con noi.
Abbiamo la nostra abbondante dose di rabbia e determinazione da riversare contro coloro che contribuiscono a fare si che la nostra vita sia sempre più abbruttita dalle necessità di una sopravvivenza sempre più stentata.
Alcuni si affannano inutilmente a pensare come salvare questo sistema, noi semplicemente vogliamo abbatterlo.
Dolce ricordo, sempre più attuale, alla memoria appare
Una canzone che non invecchia:
Colpisci il passato al cuore
Le illusioni di sempre
Abbatti il futuro, se non ti appartiene.

Per tutte/i coloro interessate/i a sviluppare progetti comuni dentro la casa occupata l’appuntamento è mercoledì 2 novembre alle ore 18.00 in via dei Giustiniani 19.

Posted in comunicati | Commenti disabilitati su Diario di bordo: report dei primi giorni d’occupazione

Una risposta alla crisi. Un primo passo vestro i nostri desideri

Questa mattina è stato occupato uno stabile di più piani al civico 19 di via dei Giustiniani nel centro storico a genova.
L’edificio è del demanio ed era disabitato da svariati anni. L’occupazione vuole essere un modo di coniugare l’esigenza abitativa di alcuni degli occupanti con la necessità di avere un posto pubblico di cui il quartiere può tornare ad usufruire.
Domani domenica 30 ottobre alle ore 16.00 si terrà un’assemblea pubblica.
Di seguito il testo del volantino distribuito…

29 ottobre 2011. Abbiamo occupato uno stabile in via dei Giustiniani 19.
Abbiamo occupato perché abbiamo bisogno di case, di luoghi in cui vivere dignitosamente, perché siamo stanchi di buttare i nostri miseri stipendi in affitti indecenti. Perché il modo in cui ci costringono a inseguire la nostra sopravvivenza, soli e isolati, è la maniera migliore per impedirci di essere solidali, di organizzarci per rendere le nostre vite qualcosa di bello.
Siamo uomini e donne diversi per età e percorsi di vita, ma uniti da bisogni concreti molto simili e dalla comune volontà di organizzarsi per soddisfarli.
Abbiamo occupato perché abbiamo bisogno di spazi in cui costruire ciò che non abbiamo: un luogo di incontro dove costruire rapporti di mutuo appoggio, un ambito in cui discutere e divertirsi, uno spazio per noi e per il quartiere, per mangiare e per studiare, per adulti e per bambini, uno spazio di tutti coloro che lo vivono e lo sentono proprio.
Vogliamo uscire dagli ambiti classici della “politica”, dai suoi linguaggi ideologici, dai suoi dogmatismi.
Siamo qui perché vogliamo opporci al richiamo costante alla guerra tra poveri, all’erosione continua della comunità umana, quella comunità che è l’unico soggetto in grado di resistere e porre le basi di un’esistenza “altra”, viva, solidale, quella comunità che si crea quando gli uomini e le donne si occupano direttamente di ogni ambito della loro vita, quando provano a vivere liberi. Insieme.
Siamo qui per provarci ancora una volta, per ricominciare da quello che siamo e da quello che vorremmo essere.

Lo spazio è aperto da subito, siete tutti invitati, portate quello che pensate possa essere utile.

Sabato dalle 18.30 aperitivo musicale.

Domenica dalle 16.00 merenda – assemblea pubblica.