Genova è finita? Niente è finito…

Testo distribuito a Genova il 20 luglio 2012, in piazza Alimonda, nell’undicesimo anniversario della sommossa di Genova, dell’omicidio di Carlo e della repressione statale; e ad una settimana dalla sentenza della Cassazione romana che ha confermato le condanne per 5 imputati.

 

GENOVA E’ FINITA? NIENTE E’ FINITO…

Venerdì scorso la Cassazione romana si è espressa definitivamente sul processo per i fatti di Genova, confermando le condanne per 5 imputati su 10, con pene altissime.

Cosa rimane 11 anni dopo? Carlo non c’è più, decine d’anni di carcere e una rimozione storica collettiva.

Ma benché ci sia ormai ben poco da fare, forse qualcosa si può ancora dire, foss’anche solo perché i compagni non entrino in prigione con la stessa indifferenza che negli ultimi anni hanno avuto attorno.

Genova appare finita, o quasi. La nostra storia è stata riscritta e noi abbiamo lasciato che così fosse.

E’ finita con una manciata di capri espiatori seppeliti da più di 50 anni di galera, quegli stessi che fin da principio vennero indicati come i “più cattivi” tra i “cattivi” oggi pagano il conto per tutti.

Forse è giunto il momento, per quanto tardivo, di chiedersi cosa e quanto abbiamo fatto per evitare che questo accadesse.

Quanto è stato grave parlare di infiltrati, di regie occulte, dividere o comunque accettare le divisioni tra buoni e cattivi, pacifici e violenti? Quanto è stato vincente a livello processuale non affiancare una difesa politica a quella tecnica e a livello di movimento continuare per anni a sostenere i 25 imputati sulla base della resistenza in via Tolemaide, quando era evidente che buona metà di essi erano accusati invece di avere attaccato deliberatamente (perchè questo fecero in migliaia a Genova, attaccarono). Porre insistentemente la priorità sulle nefandezze delle forze dell’ordine, sull’interruzione del Diritto, non ha contribuito forse a creare il clima per cui infine pagassero (chi formalmente, chi realmente) quelli che hanno “esagerato”, da entrambi le parti? E non ha ancora una volta creato l’illusione che lo Stato possa essere qualcosa di diverso da quella banda di ladri e assassini che è sempre stato nella storia?

In tanti negli anni abbiamo provato a fare qualcosa. Sicuramente non abbastanza. Ma la storia l’abbiamo riscritta anche noi, e a nostro discapito.

Non è più il momento per riaccendere le polemiche sulle responsabilità soggettive. Non oggi, non in questa piazza.

Ogni compagno, a prescindere dalle aree d’appartenenza, può onestamente affrontare le proprie, di responsabilità.

A noi oggi interessano le nostre. Perché nessuno, noi compresi, in questi anni è stato in grado di costruire un appoggio reale, pubblico, e di lunga durata di fronte agli attacchi della Magistratura. E se la solidarietà, per avere un senso, dev’essere concreta e deve riaffermare il contenuto della lotta, allora quello che abbiamo fatto ha avuto ben poco significato.

Certo, tenere i compagni fuori dalle galere non è affare semplice, ma un movimento che non sa difendere se stesso e non prova nemmeno a difendere la dignità del proprio percorso e la dignità dei suoi prigionieri vale davvero poco.

Infatti di Genova è rimasto poco o nulla: rimane la frustrazione attuale, le spaccature infinite, qualche culo seduto su comode poltrone e qualche pensione da parlamentare. Eppure le banche incendiate all’epoca sono bruciate ancora, e sono le stesse che oggi governano l’Europa e ci impongono esistenze sempre più misere, eppure la rabbia esplosa allora verso le istituzioni finanziarie e i suoi guardiani cova nuovamente oggi in milioni di persone nel mondo. La devastazione e il saccheggio continuano ad essere la realtà quotidiana che subiamo. Forse allora le fiamme di Genova non avevano tutti i torti. Eppure non abbiamo saputo difenderle.

Questa è la nostra prima responsabilità ed è ciò che ci riempie di frustrazione.

E rabbia, tanta rabbia. Rabbia che non trova come esprimersi, rabbia frustrata. Rabbia che desidera giustizia.

Canepa, Canciani, inquisitori vari e inquirenti tutti, forse vi sentite sereni, al sicuro, senza vergogna, ma sappiate che per noi non è finita. Genova per noi non finirà mai.

A volte, ai nemici della libertà, quali voi siete, torna indietro qualcosa della guerra che hanno condotta ad essa. Non siamo noi a dirlo, è la Storia che, di tanto in tanto, lo dimostra.

Se, presto o tardi, un nuovo movimento reale rimetterà in discussione le basi intere di questa società infernale, allora questo movimento dovrà farsi carico anche di questa giustizia che è l’unica che oggi siamo in grado di concepire. Se così non sarà, queste parole, così come il desiderio di molti, saranno l’ennesima espressione della nostra impotenza.

Marina, Alberto, Ines prendete la nostra solidarietà e il nostro affetto per quello che valgono, per voi si aprono le porte delle galere, e forse questa complicità potrà suonarvi vuota retorica. Sappiate che portiamo con noi tutto il peso di questa consapevolezza.

Jimmy, Vincenzo, non sappiamo dove siete e non ci interessa. Quel che sappiamo è che lo Stato vi dichiara ricercati, irreperibili, presto latitanti. Ebbene, si fotta. Si fottano tutti.

Correte, compagni, correte.

E buona fortuna.

 

compagne e compagni che non dimenticano

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SENTENZA PER UNA RIVOLTA. In ogni caso non finisce qui…

DAL 6 AL 12 LUGLIO 2012
MOBILITAZIONE INTERNAZIONALE A SOSTEGNO DEGLI IMPUTATI DEL G8
mostra permanente @ Giustiniani19
volantinaggi e presidi a Genova

sabato 7 luglio 2012
genova, ore 18
IL SIGNIFICATO DELLE GIORNATE DEL LUGLIO 2001
discussione pubblica @ Giustiniani19
e proiezione del video
DETOUR, LA CANAGLIA A GENOVA
ovvero come accadde che a Genova, venerdì 20 luglio 2001,
un’imprevedibile deriva abbia trasformato una farsa annunciata
in sommossa reale

martedi’ 10 luglio 2012
genova, ore 18
IL PROCESSO DEL G8 PER SACCHEGGIO E DEVASTAZIONE
con un esponente del Supporto Legale @ Giustiniani 19

venerdi’ 13 luglio 2012
roma
PRESIDIO SOTTO LA CORTE DELLA CASSAZIONE DI ROMA
Appello

 

20 luglio 2001, genova – 13 luglio 2012, roma

Il 13 luglio, a undici anni esatti di distanza, lo Stato, tramite la Corte di Cassazione, darà il verdetto finale sugli scontri che scossero le strade di Genova nel luglio 2001. Per dieci persone viene chiesta la conferma di pene dai dieci ai quindici anni di carcere. Dieci persone chiamate a pagare il prezzo di una rivolta che fu di migliaia di persone, militanti e no, vestiti di nero e colorati, stranieri e genovesi. Dieci capri espiatori, accusati di saccheggio e devastazione.

Cosa accadde quel luglio così lontano nel tempo, ma così vicino nel suo significato?  Gli otto capi di Stato del G8 commisero l’errore di scegliere Genova, città da sempre ostile al sopruso, come sede di uno dei loro arroganti incontri. Il centro storico della città venne svuotato degli abitanti e recintato con grate di ferro invalicabili, tutti furono invitati a lasciare la città. Ma chi non cedette al ricatto, non accettò quella provocazione. La coscienza e la determinazione di alcuni incontrarono e incendiarono l’insofferenza e il disagio di tanti altri, stanchi di subire una vita ritenuta giustamente non degna. Tra di loro molti genovesi; Carlo uno di loro.

Quel giorno in molti disertarono l’appuntamento fissato dal potere e dai suoi interlocutori ufficiali nell’attacco alla zona rossa e nello scontro impari con la polizia. Si andò alla deriva, occupando il resto della città. Fu così svelata una verità semplice e profonda: il potere non è, e non si sconfigge, nel palazzo d’inverno, nelle zone rosse degli appuntamenti farsa dei fantocci messi a capo degli Stati, ma è, e si può rovesciare, ovunque, nello spazio e nel tempo delle nostre vite organizzate e controllate in ogni dettaglio. Attaccando l’alienazione e la miseria cristallizzate nelle sedi di banche e multinazionali, nelle auto di lusso, nelle merci affastellate sugli scaffali dei supermercati, nelle mura di carceri affollate di miserabili, i rivoltosi di Genova urlarono che il dominio non ha un cuore, ma che è freddo, inanimato e diffuso come un cancro. Quando la storia dei cinquecento black bloc calati da Marte non convinceva più nessuno, hanno dovuto chiamarli teppisti e provocatori, questi “barbari” responsabili di atti così inconsulti per i benpensanti ma rivelatori per molti altri. “Teppa”, termine che significativamente rievoca i banditen della Resistenza e i teddy boys del giugno ‘60, ovvero criminali per chi deteneva il potere in quel momento, persone di cuore per tutti gli altri. Sicuramente eravamo e siamo disagiati; perché, si può essere umani e contemporaneamente a proprio agio in questo mondo?

Perché pene così dure? Perché allora, in tempi di relativa “pace sociale”, non si poteva tollerare una città dell’Occidente liberata dal cancro capitalista neanche per poche ore. Sarebbe stato un esempio minaccioso per il futuro, e tale si è rivelato, nonostante la paura instillata a partire da quel giorno con i manganelli in strada e negli anni successivi con la propaganda e la mistificazione. Che le banche siano organizzazioni criminali, che il lusso sia un affronto insopportabile, che il “progresso” per il quale viene richiesto il sacrificio costante della nostra vita è una truffa, che il saccheggio e la devastazione sono quelli che vengono perpetrati ai danni dei territori ovunque, oggi cominciano a pensarlo in tanti, e in tanti hanno cominciato ad agire ed autorganizzarsi, dalla Grecia alla Valsusa. Se quella rivolta allora incompresa e calunniata acquisisce un senso alla luce di quanto accade ora, e se i giudici dimostrano di averlo ben presente con le loro pene esemplari, appare evidente la necessità di non lasciare soli quei dieci di noi che oggi sono chiamati a pagare per tutti. Non è un caso che negli stessi giorni, con una fretta sorprendente, cominci il processo al movimento NOTAV. Un filo rosso unisce coloro che sono chiamati nei tribunali di Stato per fatti apparentemente così lontani, nelle pene che ricadranno a cascata su tutti ma anche nel senso e nella forza delle lotte che continueranno e che mai nessun tribunale potrà sconfiggere.

Carlo quel giorno ha lasciato sul selciato la sua giovane vita e la sua voglia di libertà, ma molti altri come lui sono nati a sé stessi in quelle ore, perché è solo nell’ora della rivolta che non ci si sente più soli nella città, e mai Genova è stata così bella per noi. L’unica giustizia per quella vita spezzata, e l’unica possibilità di riscatto per le nostre umiliate, è che quel fuoco bruci e dilaghi sempre più per le strade del mondo.

CASA OCCUPATA GIUSTINIANI 19

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Street not for sale – due giorni di musica e graffiti contro casapound

SABATO 9 E DOMENICA 10 GIUGNO 2012 dalle ore 15 in poi

Da una parte sola della barricata . . .

Anche quest’anno, per la seconda volta, Casa Pound prova a organizzare la cosiddetta “International Street Convention” nella sede di Area 19 a Roma , riproponendo l’abituale e triste plagio di culture che niente hanno a che fare con le ideologie fasciste.

Anche quest’anno, la nostra risposta non si farà attendere. Dopo le iniziative nel 2011 di “Reclaim the Streets”, in cui abbiamo ribadito la nostra posizione in varie città italiane, quest’anno ci dirigiamo a Genova, per riappropriarci di spazi in cui esprimere le fondamenta della filosofia street.

La street art è un codice comunicativo che nasce dal disagio sociale di ambienti metropolitani multietnici, dall’emarginazione delle periferie,dalla frenesia post moderna, e si corrobora nel dissenso. Si è diffusa nei decenni attraverso pratiche artistiche illegali,  sviluppandosi speditamente per esplodere e rivelarsi presto in tutti i continenti, entrare nei circuiti più svariati e affermarsi come conquista dei centri urbani e sfida alle autorità precostituite. Si capisce dunque, partendo proprio dalle sue origini, come lo spirito street non abbia nulla a che vedere con le intolleranze e i razzismi, intrecciandosi perfettamente con i diversi tessuti urbani, esprimendosi semmai come forma più o meno conscia di sovversione.

Tutti questi concetti non possono essere affiancati a personaggi come quelli di Casapound, autori di raid ai danni di extracomunitari e omosessuali,  promotori di iniziative come le “taglie sui writers” o le “squadre antigraffiti”. Sfruttando immagini e icone come Che Guevara, Rino Gaetano, Peppino Impastato, vantandosi di essere ribelli e al contempo stringendo sodalizi con amministrazioni e partiti in cambio di favori e finanziamenti, cercano di mostrarsi aperti e moderni davanti all’opinione pubblica, ma le loro contraddizioni nascondono evidentemente solo subdoli tentativi di proselitismo e manie di potere. Smascherando la loro provocazione si palesa solo vacuità.

Come il loro precedente evento, che non ha contato più di una decina di partecipanti, anche questo è destinato a rivelarsi un buco nell’acqua. Per noi invece vuole diventare un’occasione per fare chiarezza, un occasione di festa ma anche di dibattito e sperimentazione. Quello che faremo sabato 9 e domenica 10 giugno 2012 sarà quello che abbiamo sempre fatto: riprenderci le strade, in questo caso i muri della Casa Occupata Giustiniani 19, per riempirli dei contenuti che danno vita ad un movimento ingovernabile!

DOVE C’E’ LIBERTA’ D’ ESPRESSIONE NON C’E’ SPAZIO PER I FASCISTI !

VOLKSWRITERZ, GIUSTINIANI 19

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Viva l’astensione per la rivoluzione!

Le ultime elezioni nel nostro paese hanno visto un altissimo tasso di astensione. A Genova, un sindaco eletto da poco più di centomila persone ne governerà quasi ottocentomila: culmine della farsa, o culmine della democrazia? In ogni caso nessun analista, nessun politico, nessun organo di stampa ha potuto eludere il dato ne trovare fantasiose spiegazioni.

Le interpretazioni sociologiche si sprecano. La chiamano, con preoccupazione, antipolitica. E allo stesso tempo la Politica per arginare questo fenomeno prevedibile é corsa ai ripari laddove poteva (quindi, fondamentalmente, a sinistra) lanciando volti nuovi ed enfatizzando l’illusione dell’amministrazione più attenta e vicina ai cittadini, puntando sulla democrazia partecipativa per rispondere al desiderio di rinnovamento.

Effettivamente, se liste civiche e “grillini” hanno eroso i voti dei partiti storici è perché le basi degli stessi sono stanche delle vecchie classi dirigenti. E questo è un dato. Un altro dato, ineludibile, è che in tutta Italia, milioni di persone, semplicemente, non hanno sprecato neanche quei 20 minuti per scegliere chi dovrebbe governarli nei prossimi anni. Rifiuto? Disinteresse? Opposizione? Senso d’impotenza? Non lo sappiamo. Probabilmente tutti i fattori insieme.

Quel che è certo è che il fenomeno non è italiano. In Grecia, in Portogallo, come precedentemente in Spagna, gli “aventi diritto” hanno mostrato un grande dito medio alle seduzioni della Politica. I governi della “crisi”, e i governi dell’austerità ancora più di altri, perdono terreno, appoggio e consenso.

Il voto però è solo un piccolo mattoncino del consenso. Se le illusioni e la fiducia nella Politica vengono meno, questo non significa ancora che essa venga rifiutata. I potenti hanno bisogno di noi, del mantenimento dei nostri ruoli sociali, hanno bisogno che rimaniamo al nostro posto. Ma noi non abbiamo bisogno di loro. Se vogliamo reagire alla miseria che ci circonda dobbiamo precisamente uscire dai nostri ruoli, liberare il nostro tempo, attivarci laddove possiamo e non per partecipare ad un banchetto da principio concepito per pochi, ma per ribaltare quella tavola insieme a tutti coloro che ne restano esclusi.

Il rifiuto della delega (al Comune, al Parlamento, al poliziotto), se consapevole, è il primo passo verso l’azione diretta nella risoluzione dei problemi, cominciando dal quartiere in cui viviamo. Un cancello aperto, una casa occupata, un giardino liberato, un orto in mezzo ai vicoli, sono anche questo.

Il mondo appartiene a chi lo abita, le risorse a chi ne ha bisogno, la ricchezza sociale a chi la produce e non ai suoi proprietari.

Riprendiamoci tutto.

Un augurio a chi ha cominciato.

Diserta le urne e agisci

Ancora una volta siamo chiamati a votare.
Ancora una volta siamo chiamati a decidere chi dovrà amministrare le nostre esistenze.

Per quanto sia ormai senso comune che la Politica sia furto, mafia e sopraffazione e che i politici stessi siano quindi ladri, affaristi e mafiosi, lorsignori ci invitano ancora a rinnovare la farsa del cambiamento, a votarli, a mettere il loro culo su comode poltrone, a firmargli assegni in bianco, a fondare il loro privilegio col nostro sudore.

Ebbene, se non vi bastano i disastri a cui, inermi, assistere ogni giorno, se non vi bastano le promesse e le lusinghe dei candidati e dei partiti, se non vi bastano le violenze e i soprusi degli uomini in divisa, se non vi bastano le mani degli esattori fiscali nelle vostre tasche, se non vi bastano i tormenti di una vita alienata e defraudata di ogni sua potenziale ricchezza, se non vi basta tutto ciò con mille altri aspetti del vissuto impostoci da una cricca di zecche e parassiti forti dell’organizzazione sociale fondata su Stato, esercito, padroni e clero vario, allora oggi e domani andate a votare.

Se invece le illusioni non ci seducono più, se siamo stanchi delle loro stronzate, allora disertiamo le urne e il loro teatrino elettorale.

Riprendiamoci le piazze con gioia e libertà. Sbeffeggiamo il potere e le sue rappresentazioni.

Contro la farsa elettorale e le sciagure da essa generate.

Oggi più che mai e ancora più di ieri, sempre per la libertà di ciascuno e di tutti.

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IL VENTO CAMBIA, IL TANFO RESTA…

Ancora una volta ci troviamo ad assistere all’ennesima farsa cittadina, la campagna elettorale. Siamo tutti invitati a partecipare al siparietto finale di due enormi sacchi di merda. Il primo è Bersani, segretario del PD, partito responsabile e complice in guerre sanguinarie, devastazione del territorio per realizzare piccole e grandi opere appaltate ai suoi affiliati, peggioramento delle condizioni lavorative e aumento del controllo sociale e della repressione del dissenso. Il secondo, Doria, nobile genovese dal sorriso smagliante, rappresenta il tentativo di realizzare a Genova quello che la sinistra ha fatto a Milano con Pisapia: presentare un personaggio “nuovo” e non legato alle vecchie gerarchie di partito per creare un contorno di fiducia e appoggio anche tra i delusi dalla politica, acclamandolo come rinnovatore e ripulitore onesto per una nuova giunta all’insegna della modernità.

Pisapia, dopo essersi preso i voti di centri sociali e altri pagliacci della “sinistra radicale”, ha mostrato il vero volto del potere aumentando il costo del biglietto per i mezzi pubblici e sgomberando con la forza le case dei più poveri per preparare la città meneghina all’Expò delle mafie.

Allo stesso modo Doria non nasconde nel suo programma la volontà di realizzare le grandi opere come Terzo Valico (TAV) e Gronda riproponendo l’inganno di rendere partecipi i cittadini dello “sviluppo” del territorio, di poter in qualche modo aver voce in capitolo sulle decisioni che verranno comunque applicate sulla pelle di tutti. Egli ritiene “apprezzabile il metodo partecipativo per cercare soluzioni a problemi complessi utilizzate dall’ amministrazione uscente” che conosciamo bene. Nonostante le proteste degli abitanti del Ponente Genovese i cantieri sono già avviati e comporteranno in futuro l’abbattimento di case abitate e lo sfratto della scuola elementare Villa Sanguineti di Fegino successivamente adibita a uffici per l’Alta Velocità.

Tutto ciò è in linea con quello che il PD e la cricca di imprenditori loro amici tenta di fare in Valsusa, dove chi si oppone ai lavori subisce l’invasione militare dei suoi territori, viene picchiato e gasato col CS dalle forze dell’ordine, denunciato, imprigionato fino anche a finire “suicidato” (come Sole e Baleno morti in carcere e ai domiciliari perchè contrari alla TAV).

Il nostro invito a disertare le urne non ha fondamenti democratici o legalisti. Invitiamo a sabotare il voto non perchè questa classe politica non ci aggrada o perchè ne vorremmo una magari più giovane o con una fedina penale più pulita.

L’ elettore auspica il buon governo e il cambiamento, magari anche radicale, del sistema attuale riponendo la fiducia nel nuovo politico che come sempre annuncia grandi miglioramenti. Gli aspiranti sabotatori della macchina democratica sognano invece di rovesciarlo e di abbatterlo. Ogni elettore, con la sua scelta di recarsi al seggio, non solo contribuisce attivamente alla costruzione della fiducia negli stessi partiti e nello stesso sistema responsabile delle miserie della sua vita, ma annulla completamente la propria individualità. Delegando ai potenti, con una crocetta sulla scheda, i cambiamenti che vorrebbe vedere, ripone in loro ogni sua speranza di modifica del presente, per quanto squallida o limitata possa essere l’aspettativa di un votante.

Crediamo che ciò di cui abbiamo bisogno,come l’esigenza pratica di impedire la realizzazione di un’opera che nuoce alla popolazione e arricchisce i padroni, vada soddisfatto contando esclusivamente sulle forze nostre e dei complici che incontreremo lungo il percorso. Delegare a partiti, liste civiche, comitati o portavoci la realizzazione delle nostre necessità (che spesso non va oltre la piagnucolante elemosina di esse) è un gesto che non ci appartiene.

Ci appartiene invece una valle in lotta sulle barricate, chi ruba la merce, viaggia senza pagare, occupa case, reagisce alla prepotenza della polizia, strappa i manifesti elettorali, scrive sui muri, chi sceglierà di andare al mare il 6 e il 7 maggio.

Ci scalda il cuore incontrarci, conoscerci e autodeterminare le nostre esistenze.

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Fincantieri: tra denunce e accordi bidone

Durante  il  corteo  del  24  maggio  dell’anno  scorso,  indetto  dalla  FIOM  per  protestare  contro  la  possibile  chiusura  dello stabilimento di Fincantieri,  si sono  verificati momenti  di  tensione con  la polizia.  18 persone,  tra  operai  e  compagni  che solidarizzavano,  sono  state  denunciate,  fomentando  le  solite  favolette  sugli  infiltrati  violenti, nell’intento  di nascondere sia la legittima rabbia operaia che si respirava quel giorno, sia il fatto che ancora esista una solidarietà di classe, pur nella diversità di vedute.

Per tre dei denunciati, la magistratura ha previsto l’obbligo di presentarsi in questura due volte al giorno, e di tenersi lontani da manifestazioni di piazza, trovando il modo di applicare a Genova, per la prima volta, una variante del DASPO sportivo per le manifestazioni politiche. Non vi è il divieto concreto di partecipare a cortei o presidi, ma vengono spostate le firme ad orari e in  luoghi che rendono impossibile l’effettiva partecipazione, per evitare che si creino pratiche comuni che mettano insieme ciò  che  il  Capitale  vuole  diviso  e  frammentato.  Dimostrazione  ne  sono,  in  Fincantieri  e  altrove,  i molti  licenziamenti  e  le sospensioni che colpiscono chi, da alcuni delegati Fiom a quelli del sindacalismo di base, passando per i licenziamenti politici dei  lavoratori  di  cooperativa  nel milanese  e  nel  piacentino,  tentano  di  opporsi  all’attacco  sferrato  da  padroni  e  governo.
Questo  è  il  clima  che  si  respira  sempre  più  frequentemente,  e  l’unica  risposta  non  può  che  essere  l’azione  congiunta: nessuna distinzione e divisione fra chi lotta.

Dopo  manifestazioni,  blocchi  e  picchetti,  l’Ocenia  sarà  consegnata  a  chi  di  dovere  e  insieme  ad  essa  l’unico  potere contrattuale che i lavoratori hanno. Gli accordi siglati dai sindacati concertativi non fanno gli  interessi dei  lavoratori: presto  inizierà la cassa  integrazione straordinaria per tutti,  in attesa di una commessa forse per  l’autunno o forse chissà..nel  frattempo  tutti  a  casa  ed  in  cassa  con  la  sicurezza  che  quasi  la metà  non  rientrerà  perché,  pur  non essendo esuberi, sono pur sempre eccedenze della produzione.  A tutto questo si aggiunge il fatto che fuori dell’accordo sono  rimasti  i  lavoratori  delle  ditte, manodopera  a  basso  costo  che  non  ha  nemmeno  il  diritto  di  avere  delle  promesse.
Eppure anche loro avevano partecipato alle  lotte insieme ai lavoratori Fincantieri perché in qualche modo consapevoli che, andando al di là dell’interesse corporativo, si possa vincere.

Spingeranno a dividerci fra ambiente e lavoro (perché quando si parla di ribaltamento a mare si parla necessariamente del terzo valico, da dove dovrebbe arrivare lo smarino per il riempimento),  fra chi accetterà  tagli a stipendi e diritti e chi non vorrà cedere, ci sarà anche chi vorrà produrre strumenti di guerra per annientare altri proletari pur di salvare il posto di lavoro.

Discorsi  inutili:  le manifestazioni  di  questo  autunno,  i  blocchi,  hanno  dimostrato  che  può  esistere    ancora  la  capacità  di mettersi  insieme  mentre  gli  accordi  fasulli  dovrebbero  aver  insegnato  come  i  lavoratori  possano  contare  solo  ed esclusivamente sulle loro forze, sulla loro autonomia e sulla loro organizzazione.
Le deleghe  in bianco ai vertici sindacali, come  la sostituzione della difesa del posto di  lavoro alla difesa della  forza  lavoro, sappiamo già dove portano.  Se il ridimensionamento della forza lavoro è una necessità per la sopravvivenza del capitale, gli accordi servono solo per rimandare i tagli e far diminuire la tensione sociale.

E’ necessario unire  le  lotte dei  lavoratori  italiani e stranieri, dei disoccupati, degli studenti. Le  lotte e gli scioperi degli  operai  delle  acciarie  (e  non  solo)  in  Grecia,  così  come  quelle  degli  operai  delle  cooperative  di  logistica  di Lombardia ed Emilia sono testimonianza ed esempio che opporsi agli attacchi padronali e al loro ricatto è possibile e doveroso!
CONTRO LA CASSA INTEGRAZIONE, CONTRO GLI ACCORDI BIDONE!
SOLIDARIETA’ AGLI OPERAI E AI COMPAGNI DENUNCIATI!

coordinamentodisostegnoallelotte@inventati.org

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CHI COLPISCE UNO DI NOI COLPISCE TUTTI NOI!

Leggendo la cronaca locale si ha l’impressione che Genova si sia trasformata in un campo di battaglia, un luogo in cui il germe della lotta e della contestazione sia ormai inarrestabile, grazie anche ai “contestatori di professione” che sembrano avere messo radice in città…
Bisogna fare qualche cosa, correre ai ripari, preannunciano gli strilloni….e subito ecco arrivare le denunce e le varie altre misure preventive e repressive: obbligo di recarsi a firmare presso posti di polizia e carabieri, due volte al giorno, per alcuni e  avvisi orali per altri. (L’avviso orale è un’intimidazione che costituisce l’anticamera necessaria per venire sottoposti alla sorveglianza speciale)
Gli episodi messi sotto osservazione sono vari: da un corteo degli operai di Fincantieri e uno della FIOM, alla contestazione dell’amministratore delegato di trenitalia Moretti piuttosto che quella al pm Caselli, responsabile degli arresti notav. Si puniscono inoltre, perfino con l’obbligo di dimora, alcuni ragazzi coinvolti in  una situazione di strada determinata da una pattuglia di carabinieri e alpini che stava effettuando un controllo nei vicoli.

Le cassandre mediatiche continuano a strillare che altre punizioni verranno. Il vento è cambiato: fronte unico contro chi protesta.
Le misure, quelle reali e quelle minacciate, il loro modo plateale e sbandierato, mirano certo all’allontanamento dei compagni dai contesti di lotta, ma contemporaneamente servono come esempio e come monito.
Gesti solidali, di ribellione, di lotta non saranno più tollerati. Siamo in tempi di pacificazione, in cui deve predominare la necessità imposta di fare sacrifici per uscire dalla crisi, di sopportare tutto in attesa che qualche cosa cambi, restringendo l’orizzonte delle proprie vite alla sopravvivenza per un tempo che pare non essere definito; ma ora non c’è tempo, non c’è spazio nemmeno per comprendere e criticare quello che sta succedendo. Tutto deve essere irreggimentato.
Che la contestazione si allarghi, che le lotte non si esauriscano in mere istanze rivendicative, che si apra la possibilità per passare, dal chiuso del particolarismo, ad un percorso di opposizione radicale, questo no, non è possibile, non è consentito.
E di questo compito vengono investiti i corpi di polizia. Meglio bastonare subito e bene e, se per caso non si riesce, allora chiedere ed ottenere  misure che abbiano lo stesso compito: non si può rischiare che qualche fiammata diventi un fuoco.
Come non ricordare le cariche in Val di Susa, i lacrimogeni sparati ad altezza uomo, ed i cortei operai di nuovo caricati dalla polizia, in questi ultimi anni, come un tempo.
Cariche, pestaggi violenti, uso indiscriminato di lacrimogeni sono diventati gli strumenti prediletti.

Ovviamente tutto questo ha delle conseguenze: i cani da guardia del potere e dell’ordine, della pace sociale, rivestiti di nuove ed importanti mansioni di difesa nazionale, alzano la testa, capendo bene che ogni comportamento è a loro consentito, e non si fanno più problemi a mostrare la loro vera natura.
Cosa importa se qualcuno muore sotto le loro botte, cosa importa se le loro pistole ammazzano, cosa importa se qualche donna, spesso immigrata, viene da loro violentata, cosa importa se qualcuno viene ferito dai lacrimogeni sparati ad altezza uomo? Quello che importa è che LORO sono i nostri salvatori, i nostri protettori ai quali, perciò, è concessa “qualche” scappatella, impegnati come sono a salvare le sorti del paese!

Succede spesso che la polizia sia esecutrice degli ordini del potere di cui è emanazione, ma è successo altrettanto spesso che, con crescente arroganza, essa stessa diventi un nuovo centro di potere.
Il tanto richiesto stato di sicurezza, mantra di ogni campagna elettorale e di ogni candidato, si sta gradualmente instaurando e con esso il sopruso e la violenza sempre più espliciti per tutti.

Non lasciamo spazio alla repressione!
Ci ritroviamo MARTEDI’24 alle ore 18.30 in piazza posta vecchia per un aperitivo benefit in solidarietà ai nostri compagni genovesi recentemente colpiti dalla repressione.

CASSA SOLIDALE LIGURE

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SORVEGLIATI E PUNITI

Avviso ai cittadini, ai sinceri democratici che aspettano con ansia le urne

La democrazia (“governiamo noi tramite chi ci rappresenta”), i diritti (“ciò che ci spetta”), la legge (“è uguale per tutti), quante belle favole a cui milioni di persone si ostinano a (voler?) credere per sopportare l’esistente.
L’occidente capitalista è sull’orlo del baratro, la festa è finita, tutti lo dicono, tutti lo sanno. In Grecia, il primo paese ad essere arrivato sull’orlo di questo baratro, le persone hanno smesso di credere alle menzogne di quelli che li comandano e hanno cominciato a prenderli a calci in culo, nelle strade. In Italia, che potrebbe essere seconda in questa corsa “particolare”, prevale invece un’insopportabile apatia e la massima rivendicazione che viene fatta e sembra ottenere ampio consenso è quella che chiede pulizia morale, fedine penali pulite, parlamentari incensurati… più galera per tutti.

Peccato che per il momento i magistrati sembrano avere ansia e fretta di mandare in galera soltanto quelli che lottano contro questo stesso sistema e ci mettono la faccia in strada, quelli che sono stufi di subire e non si rassegnano.

Non siamo ipocriti. Chi crede che “male non fare, paura non avere”, coloro che credono che bisogna obbedire sempre, perché chi comanda ha sempre ragione e le regole vanno sempre rispettate, può tranquillamente interrompere la lettura. Non troverà in queste righe il tentativo di rivendicare innocenza o legittimità di fronte ai tribunali e alla morale di questa società. L’invito a ragionare è per tutti coloro che magari si sforzano di credere in ciò che ci viene propinato dalla nascita, ma che sanno che il patto sociale si può rompere, se non altro almeno in alcuni casi. Non c’è bisogno di essere sovversivi per sentire che c’è un limite di sopportazione a tutto. Come ha ricordato recentemente qualcuno in Valsusa, dove è un intero popolo a lottare contro l’arroganza del potere, anche Gandhi sosteneva che una legge o un provvedimento sentiti ingiusti da un popolo non vanno rispettati.

E’ a questi sinceri “democratici” che ci permettiamo di raccontare e far notare alcune cose che stanno accadendo nella nostra città e che non sono propriamente tranquillizzanti per tutti. Genova, in questi mesi, si sta infatti mostrando all’avanguardia in alcune forme di repressione del dissenso che hanno la peculiarità di smascherare la falsità delle norme base del diritto, quelli che tutti riconoscono come fondamenta della loro presunta libertà.

Due ragazzi, accusati di essersi intromessi in un fermo di polizia un po’ brutale avvenuto qualche mese fa in centro storico, non solo hanno ricevuto le relative denunce e sono agli arresti domiciliari notturni da ormai due mesi, ma si sono visti recapitare anche “l’avviso orale” da parte del questore: un invito, non meglio definito ma molto mafioso,“a cambiare atteggiamento”. Se non la faranno verranno sottoposti a sorveglianza speciale, ovvero ad una serie di pesanti restrizioni personali (a tempo indeterminato e a discrezione del giudice) come arresti domiciliari notturni, obbligo di dimora nel comune di resistenza, ritiro della patente (ed altre varie ed eventuali). La peculiarità di avviso orale e sorveglianza speciale è che sono norme che possono prescindere dall’esistenza di condanne penali degli accusati; sono a discrezione del questore che le richiede su una non meglio identificata pericolosità sociale dei soggetti in questione, e di un giudice che convalida la richiesta. Norme introdotte non a caso sotto il fascismo, e ufficialmente oggi conservate per mafiosi, pedofili e altri reati di grave entità e che invece negli ultimi anni vengono applicate a militanti e antagonisti impegnati in lotte sociali. Ed infatti qual è la condotta che dovrebbero cambiare, qual è la pericolosità sociale di queste due persone che ad oggi nessun tribunale italiano ha mai condannato? Non andare in piazza, tacere e stare a casa… dobbiamo dedurre, visto che i due sono noti alle forze dell’ordine per partecipare alle lotte e alle manifestazioni avvenute a Genova negli ultimi anni, ed in particolare alla lotta notav.

Nello stesso periodo altri tre ragazzi sono stati incriminati per aver partecipato lo scorso anno ad un corteo degli operai di Fincantieri terminato con qualche minuto di fronteggiamento e corpo a corpo con la polizia sotto la prefettura. Anche qui scontate denunce e forme restrittive, nel caso specifico due firme al giorno in questura, anche qui giustificate con la nota attività politica dei tre. Ma anche qui una novità arbitraria, ovvero l’obbligo di andare a firmare ogni volta (a discrezione della questura che si riserva di comunicarlo il giorno precedente) che in città c’è una manifestazione, due volte durante il corso della stessa manifestazione e in parti lontane della città, in modo da essere sicuri che non vi partecipino. Tecnicamente è una variante politica del Daspo, un provvedimento inventato e applicato nel mondo calcistico per i tifosi, gli ultras, segnalati dalle forze dell’ordine per la loro vivacità. Provvedimento più volte accusato di essere anticostituzionale, che Maroni per primo ha proposto di applicare alle manifestazioni di piazza dopo i fatti del 14 dicembre 2010 a Roma. Allora la Corte costituzionale bocciò la proposta, denunciandone l’incompatibilità con i principi di libertà garantiti dalla Costituzione stessa. La bocciatura è stata recentemente ribadita, quando il governo Monti ha proposto una serie di nuove leggi per arginare la lotta notav in espansione in tutta Italia: nuove leggi sì, è giusto farle per arginare il conflitto sociale montante (per esempio un nuovo reato di “blocco stradale” punibile fino a 5 anni carcere), ma il Daspo proprio no, non si può fare, a meno di cambiare la Costituzione. Ebbene, a Genova, il Daspo politico la procura locale lo ha introdotto lo stesso, per la prima volta in Italia, con buona pace del “diritto” e della Costituzione.

Dove non riescono ad arrivare il codice e la sua applicazione, i tempi dei processi dei tribunali, deve arrivare qualcosa d’altro. In Inghilterra un corrispettivo di queste norme, che criminalizzano persone incensurate ma in qualche modo scomode (almeno per la morale, anticamera della legge), e l’ASBO (anti-social behaviour order). L’ASBO è un civil order, ovvero un certificato emesso da un tribunale, rilasciato ad individui, soprattutto adolescenti, considerati “pericolosi” per via del loro comportamento considerato antisociale. In pratica l’ASBO contiene determinate restrizioni di luogo o di orario (dei veri e propri coprifuoco e proibizioni di frequentazione di determinate aree) che, se vengono infrante dal colpevole, si traducono in una condanna a cinque anni di carcere! Con gli Asbo si criminalizzano comportamenti legali e vengono inventati dei reati personali; basti dire, come esempio, che ad un ragazzo di 19 anni è stato vietato di giocare a calcio per strada.

I sinceri democratici credono che il diritto, nelle “avanzate” democrazie occidentali, si fondi sulla norma, su ciò che è codificato, ed invece la base costituente è l’eccezione, il margine di arbitrarietà che il potere si riserva per rispondere a situazioni di emergenza. Lo stato di eccezione, ossia la sospensione dell’ordine normativo e giuridico normale, non è, per l’appunto, come sembra indicare il nome, una norma transitoria, ma diventa condizione permanente, strumento di sorveglianza e punizione di chi, per un motivo o per l’altro, è indesiderato. Misure provvisorie e straordinarie stanno diventando oggi, sotto i nostri occhi, paradigma e strumento di governo particolarmente efficace nel momento in cui questo sistema è al collasso e i suoi oppositori possono potenzialmente moltiplicarsi e radicalizzarsi velocemente.

Vi rimane ancora il dubbio che tutto ciò riguarda comunque singole persone “che se la cercano”?  Nella Germania dei nazisti, arrivati al potere tramite libere e democratiche elezioni, i campi di concentramento furono istituiti fin da subito, nel 1933, secondo norme previste non dal diritto comune ma da statuti eccezionali (derivanti da leggi prussiane del ‘800) di “custodia protettiva” e di “polizia preventiva” (gli stessi criteri che reggono gli odierni avvisi orali, sorveglianze speciali, Daspo ecc.), che permettevano di “prendere in custodia” degli individui indipendentemente da un qualsiasi rilievo penale rilevante, unicamente al fine di evitare un pericolo per la “sicurezza dello stato”. Con questo criterio, attraverso una sospensione di qualsiasi norma del diritto penale e carcerario vigenti, vennero internati e uccisi milioni di ebrei, dissidenti politici, omosessuali. Nell’Italia di oggi, i CIE (centri di identificazione ed espulsione per immigrati) giuridicamente e tecnicamente rispondono alle stesse caratteristiche di sospensione dell’ordinamento giuridico e carcerario normale, e di fatto corrispondono ai lager; nei CIE come nei lager nazisti vengono tutto è a completa discrezione degli operatori che vi lavorano e dei poliziotti. E, guarda caso, nei CIE ci finiscono, come prigionieri e in condizioni di vessazione allucinanti, gli stranieri che arrivano qua con l’unica colpa di non avere i documenti.

Insomma, la sostanza, nuda e cruda, è che i potenti fanno letteralmente il cazzo che gli pare, e che la legge e il diritto sono uno strumento arbitrario nelle loro mani, per mantenere l’ordine a loro caro.

Cari cittadini, sinceri“democratici”, sappiamo che tra poco andrete alle urne con il desiderio e la convinzione di far qualcosa per cambiare le cose. Tenete presente quello che è scritto in queste righe quando sarete sul punto di porre una croce sulla vostra voglia di cambiare; pensateci, se è il caso di delegarla a qualcuno che magari vuole investire i giudici della responsabilità di trasformare questa società; pensateci, se è veramente possibile un cambiamento radicale che passi dal parlamento e dai tribunali.

Nel frattempo noi saremo, come sempre, per strada.
Per opporci a questo stato di apatia.
Per l’abbattimento di questo sistema, con le sue carceri e i suoi tribunali.
Per stare fisicamente vicini ai nostri amici.

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Coraggio Primo Maggio!

Il primo maggio del 1886 esplode a Chicago lo sciopero convocato dalle prime associazioni operaie, in lotta per la giornata lavorativa di otto ore. Migliaia di lavoratori partecipano a grandi manifestazioni a cui lo Stato risponde con la polizia, assassinando 9 persone.

Due giorni dopo, nuove manifestazioni di protesta in cui si verificano scontri con le guardie private dei padroni (Pinkerton), mercenari maestri nel rompere i picchetti degli operai. Quando arriva la polizia è una nuova carneficina, il fuoco lascia sul selciato altri 6 morti. Nella stessa giornata la polizia interviene per interrompere un comizio anarchico, dove avevano già parlato Spies, Parsons e Fielden in una situazione di tensione ed emozione palpabile. Dalla massa di lavoratori presenti al comizio viene lanciata una bomba contro la polizia che provoca un morto e vari feriti. Si scatena la repressione: arresti e molti altri morti.

Tra gli arrestati ci sono socialisti, comunisti, sindacalisti, anarchici, tra cui Albet Parsons, August Spies, Michael Schwabb, George Engel, Adolph Fischer, Louis Lingg, Samuel Fielden e Oscar Neebe che il 28 di Agosto del 1886 vengono condannati per l’attentato: Neebe a 15 anni di prigione, Schwabb e Fielden ai lavori forzati, per tutti gli altri la sentenza è di morte. Ling si suiciderà in prigione mentre l’11 novembre verranno impiccati Spies, Fischer, Engel e Parsons.

Da allora i cosiddetti “martiri di Chicago” appartengono alla memoria storica di coloro che non hanno mai smesso di combattere contro la schiavitù. Da allora e per decenni a venire, quelle nere giornate di maggio sono state vissute dalla classe operaia come giornate di lotta allo sfruttamento, all’oppressione, all’oblio.

Oggi, e ormai da tempo, l’oblio è invece caduto su quei fatti e sul loro significato. L’oblio è caduto su tutta una tradizione e un tramandarsi di lotte, di battaglie, di dolori e sangue, di gioie e speranze.

Grazie ai sindacati di regime il Primo Maggio è stato svuotato del suo valore, grazie allo Stato è diventato una festa, grazie a certa sinistra una giornata in cui glorificare il lavoro salariato.

Sta a chi invece nutre ancora quella speranza, a chi ancora porta con sé quella memoria, ripercorrere e rinnovare quel filo rosso che attraversa le generazioni portando con sé l’idea di un mondo senza classi e senza Stati, portando con sé un sogno di libertà.

Noi siamo ancora qui, non pacificati e non rassegnati ad un Capitale che domina in modo ormai totalizzante ogni aspetto delle nostre esistenze e che oggi torna ad attaccarci con nuova e vigorosa forza.

Noi siamo ancora qui perché esistono ancora gli sfruttati e gli sfruttatori, perché esistono ancora le guerre, perché ancora uomini e donne vengono chiusi a chiave in una cella, perché la Legge, il bastone e quando serve il piombo colpiscono chi si ribella, perché ancora qualcuno decide sulle vite di tutti e su di esse fonda il proprio privilegio.

Noi siamo ancora qui al fianco di chi si organizza, di chi resiste, di chi alza la testa e combatte.

Per questo la memoria non si cancella, per questo il sogno non muore, per questo la guerra sociale continua.

Un giorno la classe dominante riceverà, da mano anonima e tremenda, il conto da pagare.

 

“Addio, arriverà il tempo in cui il nostro silenzio sarà più forte delle nostre voci, che oggi soffocate con la morte”. August Spies di fronte ai suoi assassini

La bellezza è nelle strade – ingresso gratuito alla mostra di Van Gogh

“Mai come oggi si è sentito tanto parlare di civilizzazione e
cultura, mentre è la vita stessa che sta scomparendo. E c’è una
strana corrispondenza tra questo crollo generale della vita, che
comprende ogni singolo sintomo di demoralizzazione, e questa
ossessione per una cultura pensata per tiranneggiare la vita”
A.Artaud

Succede che a Genova da qualche mese sia in corso una bella mostra sul tema del viaggio nell’arte del XIX e XX secolo, a partire dall’opera di Van Gogh.
Succede che il biglietto di questa mostra costi 13 euro, ovvero l’equivalente di oltre due ore di lavoro (in nero) per la maggior parte di coloro che sono chiamati a pagare la crisi, soldi che normalmente servono a mettere assieme il pranzo con la cena.
Succede che chi, nonostante gli anni noiosi della scuola, ha imparato ad apprezzare l’arte, ha capito che il modo migliore per convertire le nozioni trasmesse da pedanti manuali in oggetto di reale piacere e conoscenza, sia quello di vedere le opere d’arte dal vivo.
Succede che, mercoledì 18 aprile scorso, una ventina di persone, giovani e meno, anarchici e no, mettendo assieme tutto ciò, abbiano deciso di vedere la mostra ma di non voler (o poter) pagare quel prezzo. Non lo hanno fatto a sfregio degli altri visitatori, anzi, con striscione e volantini, ne hanno fatto un’azione politica, di rivendicazione per tutti a viversi l’arte “senza padroni”. Una volta entrati senza biglietto neanche l’imbarazzato intervento del
direttore ha evitato che potessero godere dell’intera mostra fino all’ultima sala.
E’ successo che la risposta a questa iniziativa sia stata l’irruzione nelle sale di un manipolo di carabinieri, un plotone di celerini schierati in antisommossa nel piazzale antistante palazzo Ducale e la successiva caccia all’uomo nei vicoli. Questa brillante operazione di “sicurezza” si è conclusa con il fermo, la deportazione in questura e la denuncia per resistenza a pubblico ufficiale di uno di questi ardimentosi facinorosi, nonché con l’identificazione di tutti gli altri accorsi a presidiare la questura in solidarietà.
Ora, che celerini e questurini non siano soggetti dotati di particolare sensibilità, è risaputo. La bellezza, in quanto “promessa di felicità”, non può essere da loro, esseri infelici, compresa e apprezzata. Dovendo difendere l’ordine costituito non possono che perseguitare gli amanti della libertà. Cosa possono comprendere di Van Gogh, dell’insofferenza e della personale rivolta con cui ha impregnato le sue tele? L’unica bellezza per loro concepibile ha le sembianze di una griglia grigiastra, la griglia di norme e leggi che reggono l’impalcatura traballante di questo mondo opprimente.
Ma il senso di certi gesti dà la temperatura morale di un’epoca più di altri. La polizia che carica operai e studenti nelle città, o che gasa la popolazione intera di una valle in lotta, non stupisce più nessuno. Ma l’immagine di una squadra di scarafaggi neri che si aggira rabbiosa tra le tele di Van Gogh e Gauguin, con manganello e pistola alla cintura, rimanda ad altro. Ci si potrebbe limitare a sorridere della loro figura di merda. Ci si potrebbe anche compiacere del fatto che s’incazzino tanto per qualcosa che normalmente viene considerato superfluo e innocuo come l’arte. Ma la realtà è ben più triste e ricorda altri, cupi, tempi.
Ai solerti quanto ignoranti questurini ricordiamo che “da che mondo è mondo”, ovvero da quando questo mondo di merci e alienazione ci perseguita, una certa arte ha sognato e progettato la sovversione totale: realizzare la bellezza in un nuovo stile di vita di un mondo alla rovescia, reinventare la vita.
Qualsiasi cosa abbia avuto valore come arte ha sempre gridato la sua richiesta di essere realizzata e vissuta. Fin da quando Courbet cominciò cercando di vendere i suoi quadri sotto un tendone in giro per la campagna e finì come sovraintendente alla distruzione della colonna Vendome durante la Comune di Parigi, e Mikhail Bakunin, durante l’insurrezione di Dresda del 1848, proponeva senza successo di saccheggiare il museo cittadino e di mettere i quadri sulle barricate per dissuadere la polizia dall’aprire il fuoco…
Chissà che la prossima visita ad una mostra non avverrà in condizioni simili e che questa promessa della storia rimasta in sospeso finalmente non si realizzerà.
Nel frattempo bene ha fatto questo manipolo di audaci a gettare un sasso nelle acque stagnanti dell’apatia. Con la loro incursione essi hanno aperto una breccia nelle stanze dei musei e il desiderio di bellezza e libertà si è per un attimo riversato nelle strade. Rifiutarsi di pagare per realizzare desideri e soddisfare bisogni è possibile e gioioso, come, di questi tempi più che mai, riappropriarsi di ciò che serve dagli scaffali dei supermercati, viaggiare senza biglietto sui mezzi pubblici o abitare case senza pagare l’ affitto.
Un saluto affettuoso a loro.

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Volantino distribuito allo Stadio di Marassi domenica 11 marzo

“Difendi la tua terra dalla democrazia che uccide. Daje Luca. Notav”
“Poliziotti e giornalisti, siete voi i terroristi. Notav”
Con questi striscioni, domenica scorsa a Roma per la prima volta il movimento Notav ha fatto irruzione sulle gradinate degli stadi italiani. Era inevitabile che le curve, da sempre luogo ed espressione di popolo, fossero contagiate da quella che è, prima di tutto, una grande lotta del popolo di una valle – e non, come vogliono far credere poliziotti e giornalisti, la palestra di antagonisti, centri sociali, anarco-insurrezionalisti –, nel momento in cui questa lotta stessa ha travalicato i confini fisici e simbolici della valle. La resistenza Notav ha ormai assunto il valore di un esempio per tutti: si può opporre resistenza al modello di sviluppo che ci viene imposto come obbligatorio; ci si può opporre all’arroganza e alla violenza dell’autorità che pretende di fottersene dei reali bisogni e desideri di una collettività.
L’ideologia del “progresso” con cui ci vogliono convincere dell’utilità del Tav è, nei suoi fondamenti, la stessa del calcio moderno che ha svuotato le gradinate degli stadi, nate come luoghi di aggregazione sociale, per spingerci davanti agli schermi di Sky come clienti e consumatori; è la stessa che vorrebbe abbattere un luogo di memoria e passione collettiva come il Luigi Ferraris,  perché gli stadi devono diventare dei centri commerciali. È il “progresso” che specula su emozioni, passioni e affetti di comunità intere di persone in base al tornaconto dei soliti noti, affaristi, mafiosi, politici. Ci vogliono circondare di luoghi asettici; asettico come un paesaggio visto da un treno ipermoderno lanciato a velocità folle tra valli e montagne; asettico come una partita di calcio vista attraverso uno schermo ultrapiatto invece che vissuta nell’atmosfera della gradinata.
La settimana scorsa il movimento Notav, dalla Valsusa, ha chiesto di fare un presidio simultaneo, oggi domenica 11 marzo, sotto le carceri dove sono ancora recluse le persone arrestate nella grande operazione repressiva del 26 gennaio scorso, orchestrata dal procuratore Caselli.
Nel carcere di Marassi, insieme a centinaia di altri detenuti costretti in condizioni di vessazione e umiliazione, per quei fatti è recluso da due mesi Gabriele.
Nonostante la precauzione di organizzare in serata, dopo la partita, il corteo e il presidio pensati per rispondere alla chiamata della valle, sembra che l’intera zona di Marassi sia off limits fino ad un’ora imprecisata, causa presenza dei tifosi juventini.
Ma come? Anni di tessera del tifoso, di bla bla sulla sicurezza di stadi e città ottenuta grazie ai  provvedimenti di Maroni, e oggi ci vogliono far credere che un’intera porzione di Genova è l’ennesima zona rossa in cui liberi “cittadini” non possono circolare e manifestare? O forse è che vogliono rompere le palle ai Notav? O forse è che hanno paura che molte persone comuni che frequentano lo stadio, stufi di questo mondo di plastica e dell’arroganza delle autorità che lo difendono, simpatizzino e possano appoggiare questo movimento di resistenza, così significativo, così contagioso?
Dobbiamo forse ricordare che il carabiniere che in Valsusa si è arrampicato sul traliccio per arrestare Luca, provocandone la caduta e la quasi morte, è un collega dell’agente che ha ammazzato un ragazzo che andava a vedere una partita sparandogli da un lato all’altro di un’autostrada? Che per arginare la protesta montante in tutta Italia il governo sta pensando a provvedimenti  eccezionali  sperimentati  e legiferati proprio contro gli ultras, come il daspo, da estendere alla manifestazioni di strada? Che, sempre per reprimere la lotta in valle, lo stesso governo ha deciso di spostare in Valsusa le forze di polizia che di solito presidiano gli stadi perché è lì che oggi ne hanno più bisogno, perché lì ci sono da gasare non solo ultras o presunti black bloc, ma un’intera popolazione?
Noi oggi ci saremo, faremo il corteo e arriveremo sotto il carcere.
Invitiamo tutti ad unirsi, e lo facciamo con l’ultimo pensiero rivolto all’Egitto e alla Grecia, dove sollevazioni popolari di massa si sono scagliate contro governi ritenuti autoritari e oppressivi e i gruppi delle tifoserie calcistiche del Cairo e di Atene hanno attivamente partecipato e pubblicamente rivendicato le barricate al fianco del popolo.

CORTEO NOTAV
ore 18 – concentramento in piazza de Ferrari
LIBERI TUTTI

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